Successione di contratti a tempo determinato. Ok alle norme italiane
Pubblicato il 08 marzo 2018
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Corte Ue conferma il sistema che prevede indennità e risarcimento
Secondo la Corte di giustizia europea – sentenza del 7 marzo 2018, depositata relativamente alla causa C-494/16 – è legittima la normativa italiana in materia di regime sanzionatorio applicabile, nell’ambito del pubblico impiego, in caso di successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
I giudici europei erano stati aditi con domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Trapani, sollevata nel contesto di un procedimento attivato da una donna che, dopo aver svolto attività lavorativa socialmente utile in favore di un Comune ed essere stata poi impiegata dall’Ente con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, aveva stipulato, con il medesimo, un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, contratto che era stato prorogato per tre volte, per una durata complessiva di quattro anni.
Da qui la domanda del Tribunale rimettente, vertente sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE, che mira a limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti.
A questa domanda ha risposto la Corte Ue, affermando l’ammissibilità di una normativa nazionale, come appunto quella italiana, che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte del datore di lavoro, a una successione di contratti a tempo determinato, consentendo di compensare il lavoratore, per la mancata trasformazione, con un’indennità ma, dall’altro, preveda la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità di ottenere il risarcimento integrale del danno.
Ed è, altresì, legittima, in questo contesto, la previsione secondo cui detto ultimo risarcimento sia ottenibile dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, l'interessato lo avrebbe superato.
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