Società per azioni: lecito il recesso ad nutum del socio

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Società per azioni: lecito il recesso ad nutum del socio

E' da considerare lecita la clausola statutaria di una Spa non quotata che consenta ai soci di recedere ad nutum con un termine congruo di preavviso.

Lo ha riconosciuto la Prima sezione civile della Corte di cassazione con sentenza n. 2629 del 29 gennaio 2024, nell'accogliere, con rinvio, il ricorso del socio di una società per azioni, costituita a tempo determinato, che si era visto respingere le domande volte all'accertamento del suo legittimo recesso dalla Spa e alla liquidazione della quota di relativa spettanza.

La Corte territoriale, in particolare, aveva concluso per la nullità della clausola contenuta nello statuto della compagine societaria che consentiva ai soci di recedere con un preavviso di almeno 180 giorni.

Secondo i giudici di merito, infatti, il terzo comma dell'art. 2347 c.c. contemplava il diritto di recedere dei soci ad nutum solo per le Spa costituite a tempo indeterminato, senza prevedere nulla per quelle a tempo determinato.

Da qui la declaratoria di nullità della clausola di recesso ad nutum in parola.

Recesso del socio: ipotesi ampliate con la riforma societaria del 2003

La Suprema corte non ha condiviso tali considerazioni.

Gli Ermellini, a conclusione di un'ampia disamina sul sistema normativo del recesso nelle società per azioni e sulla relativa ratio, hanno evidenziato come la riforma del diritto societario del 2003 abbia superato i due principi che in precedenza connotavano l'art. 2437 c.c. sul diritto di recesso, vale a dire:

  • la tassatività delle cause di recesso;
  • la prevalenza dell'interesse all'integrità del patrimonio sociale e alla prosecuzione dell'impresa, con la conseguente liquidazione punitiva per il socio uscente.

In particolare, uno dei mezzi per conseguire l'intento centrale della richiamata riforma, ossia quello di favorire la competitività delle imprese tramite l'accesso al mercato di capitali, è stato proprio l'ampliamento delle ipotesi di recesso.

Ed è stata superata anche l'idea di un recesso fondato esclusivamente sulla reazione del socio avverso alcune deliberazioni decise dalla maggioranza: l'istituto, ora, tende ad assecondare la scelta dell'investitore che decida di vendere i propri titoli per ragioni anche diverse ed indipendenti dalle altrui decisioni non condivise.

Non è più sostenibile, ciò posto, che il recesso societario sia un istituto con carattere eccezionale.

Il legislatore, anzi, si è preoccupato di slegare il socio dai vincoli e di preservare l'autonomia negoziale.

La richiamata riforma del 2003, a fronte dell'aumento dell'autonomia statutaria della società e del rafforzamento dei poteri anche degli amministratori, ha attribuito alle minoranze tutela risarcitoria e un diritto di recesso di maggiore ampiezza.

Sono stati bilanciati, in tale contesto, i contrapposti interessi in gioco, ed ossia, da un lato, l'interesse della società a mantenere il conferimento conseguito e, dall'altro, l'interesse del socio ad uscire dalla compagine societaria una volta che ne abbia maturato l'intenzione.

Da una parte, infatti, il legislatore ha attribuito al socio, con norme a volte derogabili a volte no, la facoltà di recedere a fronte di situazioni date, dall'altra, ha espressamente riconosciuto all'autonomia statutaria la possibilità di contemplare ulteriori cause di recesso, con il solo limite che non si tratti di società che fanno ricorso al mercato di capitale.

Da quanto detto - conclude la Corte - appare ragionevole ritenere che il bilanciamento degli interessi sia stato compiuto proprio rimettendo alla libertà statutaria la scelta di contemplare altre vicende, ivi compreso il caso che i soci, nell'esercizio della loro autonomia negoziale privata, abbiano ritenuto conforme al proprio programma imprenditoriale consentire a ciascuno, o anche solo ad alcuni di essi, di uscire dalla compagine.

Il tutto, non necessariamente solo in presenza dell'assunzione di deliberazioni assembleari ma anche, come nel caso esaminato, semplicemente per volere del socio.

Clausola statutaria legittima: il principio di diritto della Cassazione

Di seguito il principio di diritto enunciato dal Collegio di legittimità:

"È lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell’articolo 2437, comma 4, c.c., preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso".
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