Scarso rendimento dovuto a negligenza: recesso con preavviso
Pubblicato il 10 maggio 2021
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E’ stata definitivamente confermata la massima sanzione espulsiva, con preavviso, comminata al dipendente di una Asl, con funzione di operatore tecnico, a cui era stata contestata la continuità, nell’arco di un biennio, di una situazione di insufficiente e scarso rendimento dovuta a negligenza e ad altri fatti dimostrativi della piena incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio.
I giudici di merito avevano respinto l’impugnazione promossa dal lavoratore, giudicando che, diversamente da quanto da egli dedotto, non fosse ravvisabile alcuna violazione delle forme e dei termini del procedimento disciplinare.
La Corte d’appello, in particolare, aveva ritenuto che, nella progressiva evoluzione delle condotte del dipendente, si fosse delineato un inadempimento rilevante sotto il profilo di inaffidabile resa lavorativa che aveva comportato l'adozione della più grave sanzione del licenziamento, pur a fronte di fatti che singolarmente valutati non erano stati ritenuti idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.
I comportamenti posti a base del licenziamento, per la loro gravità, legittimavano la scelta datoriale per essere stato leso irrimediabilmente il rapporto fiduciario.
Era stata inoltre esclusa la fondatezza delle giustificazioni addotte dal deducente, incentrate su un preteso comportamento mobbizzante ai suoi danni posto in essere dall'Azienda datrice di lavoro.
Per i giudici di gravame, infatti, non vi era stato alcun comportamento ritorsivo di parte datoriale mentre i numerosi e gravi inadempimenti del dipendente risultavano ampiamente dimostrati e sussistevano, altresì, tutti i presupposti per il legittimo esercizio della facoltà di recesso.
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo: è il giudice di merito che accerta i fatti
Il dipendente si era rivolto alla Corte di legittimità, censurando, tra gli altri motivi, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, atteso che la sentenza impugnata aveva, a suo dire, ingiustamente ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare irrogatogli sulla base della ritenuta gravità di comportamenti e fatti mai comprovati.
Con sentenza n. 11635 del 4 maggio 2021, la Corte di cassazione ha giudicato inammissibile la predetta doglianza, dopo aver ricordato che il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è deducibile in caso, come nella specie, di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme.
Del resto, parte ricorrente, per evitare l'inammissibilità del motivo, non aveva indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando come esse fossero tra loro diverse.
In tale contesto, il fatto così come apprezzato concordemente dai giudici di merito – ha precisato il Collegio di legittimità - diviene premessa data ed intangibile per questa Corte.
Contestualmente, è stato disatteso, in quanto inammissibile, anche il motivo con cui il ricorrente aveva denunciato che la decisione impugnata non avesse offerto una chiara e coerente disamina sulla proporzionalità della sanzione irrogata ovvero sulla effettiva e definitiva compromissione del vincolo fiduciario.
Sul punto, la Corte ha ricordato come, in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, spetti unicamente al giudice del merito accertare se i fatti addebitati al lavoratore rivestano il carattere di negazione degli elementi fondamentali del rapporto ed in specie di quello fiduciario e siano tali da meritare il recesso con preavviso.
Recesso e previsioni disciplinari della contrattazione collettiva, rapporto
Nella decisione, è stato inoltre ricordato il recente arresto di legittimità con cui sono stati analizzati i rapporti tra licenziamento e previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari (v. ex multis Cass. n. 12365/2019; Cass. n. 14500/2019) e il generale principio espresso secondo cui tali previsioni non vincolano il giudice di merito.
Nella specie, la Corte territoriale aveva fatto corretta applicazione degli indicati assunti laddove, premesso che il dipendente non aveva articolato alcuna contestazione, in fatto, sui periodi di mancata presenza in ufficio ovvero di ripetuta violazione degli orari di lavoro oggetto dell'addebito disciplinare, aveva ritenuto che tali fatti fossero dimostrativi del venir meno del vincolo fiduciario, dovendo, altresì, essere esclusa, sulla base di una puntuale disamina degli esiti istruttori, ogni ragione giustificativa dei comportamenti addebitati al predetto.
Del pari correttamente, la Corte di gravame aveva giudicato che l'addebito disciplinare accertato fosse pienamente riconducibile alla previsione pattizia di cui all'art. 13, comma 7, lett. e) del CCNL Comparto Sanità 2002-2005 che prevedeva il “licenziamento con preavviso”, disposizione il cui contenuto era stato ripreso dall'art. 9 lett. e) del Regolamento Disciplinare del Personale dipendente dell'ASL di riferimento.
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