Riposi giornalieri “per allattamento”, cumulabilità con la pausa pranzo

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Riposi giornalieri “per allattamento”, cumulabilità con la pausa pranzo

E' vietato il cumulo dei riposi giornalieri “per allattamento” con la pausa pranzo se la presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro è inferiore alle 6 ore. In tal caso, tra l’altro, non si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.

Il chiarimento è giunto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’Interpello n. 2 del 16 aprile 2019.

Riposi giornalieri per allattamento. Il quesito

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato interpellato in materia di diritto alla pausa pranzo e alla conseguente attribuzione del buono pasto, ovvero alla fruizione del servizio mensa, per le lavoratrici che usufruiscono dei riposi giornalieri “per allattamento”.

In particolare, è stato chiesto se in caso di una presenza nella sede di lavoro pari a 5 ore e 12 minuti, dovuta alla fruizione - da parte della lavoratrice - dei riposi giornalieri, si debba procedere a decurtare i 30 minuti della pausa pranzo, come se avesse effettivamente completato l’intero orario giornaliero.

Riposi giornalieri “per allattamento”. Dettato normativo

Per rispondere al quesito posto, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali richiama i relativi dettati normativi:

  • l’art. 39 del D.Lgs. n. 151/2001, che stabilisce il diritto della lavoratrice, durante il primo anno di vita del figlio, a due periodi di riposo di un’ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata, quando l’orario lavorativo è superiore alle 6 ore. Nel caso di orario giornaliero inferiore a sei ore, la disposizione prevede invece una sola ora di riposo. La natura di tali riposi è chiarita dal co. 2 dello stesso art. 39, il quale stabilisce che essi debbano essere “considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro”;
  • l’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003, il quale stabilisce che “qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.

Le due disposizioni appena richiamate sono state concepite dal legislatore con scopi ben distinti:

  • l’art. 39 è volto a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare, stabilendo nei confronti della lavoratrice madre il diritto ad una o due ore di riposo giornaliero (a seconda della durata della giornata lavorativa) per accudire il figlio, entro il primo anno di età. La norma non specifica la collocazione temporale dei riposi, limitandosi a stabilire che, qualora siano due, essi possano anche essere cumulati;
  • l’art. 8 relativo, più in generale, all’organizzazione dell’orario di lavoro, stabilisce il diritto del lavoratore ad una pausa finalizzata al recupero delle energie e all’eventuale consumazione del pasto. Il dettato normativo e la ratio della disposizione non sembrano lasciare dubbi in merito al riferimento ad un’attività lavorativa effettivamente prestata, ben diversa dalla fattispecie in esame in cui il legislatore, volendo comprensibilmente riconoscere un favore alla lavoratrice madre, abbia inteso riconoscere le ore di permesso ai fini retributivi e del rispetto dell’orario (normale) di lavoro.

Chiarimento del Ministero del Lavoro

Alla luce dell’analisi coordinata delle predette disposizioni normative, il Ministero del Lavoro ritiene che si possa escludere il diritto alla pausa pranzo, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003, qualora la presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro sia pari a 5 ore e 12 minuti.

Conseguentemente, non si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.

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