Psicologi militari: su libera professione stesso trattamento dei medici

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Psicologi militari: su libera professione stesso trattamento dei medici

La mancata estensione agli psicologi militari della disciplina derogatoria sancita per i medici militari relativamente alle incompatibilità inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, non risulta sorretta da alcuna ragionevole giustificazione.

Ciò, in considerazione della identità sia della categoria professionale cui appartengono gli uni e gli altri - quella dei sanitari militari addetti al SSM - sia dell’attività da essi svolta, diretta alla cura della salute del paziente.

Psicologi militari come i medici, via l'incompatibilità alla libera professione

Con sentenza n. 98 del 18 maggio 2023, la Consulta si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato in ordine all’art. 210, comma 1, del Codice dell’ordinamento militare (D. Lgs. n. 66/2010).

La norma in esame è stata censurata nella parte in cui essa non contempla, accanto ai medici militari, anche gli psicologi militari tra i soggetti a cui, in deroga all’art. 894 del codice medesimo, non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale.

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la predetta questione, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, la Corte ha evidenziato come la norma in esame, consentendo ai medici militari lo svolgimento dell’attività libero professionale, rappresenti una scelta del legislatore in deroga al generale principio di incompatibilità della professione militare con l’esercizio di ogni altra professione, sancito dal richiamato art. 894, in conformità a quanto stabilito, per tutto il pubblico impiego, dall'art. 53 del TU sul pubblico impiego.

Tale principio trova fondamento nell’art. 98 della Costituzione che, nel prevedere che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, rafforza il principio di buon andamento dell’azione amministrativa in quanto da un lato, evita il concretizzarsi di conflitti di interesse, dall’altro, consente al militare di riservare tutte le sue energie lavorative ad esclusivo vantaggio dell’amministrazione.

Nell’ambito del rapporto di impiego che caratterizza la professione di militare, la ratio dell’esclusività deve rinvenirsi anche nella specialità che connota detto status e, soprattutto, le funzioni e i compiti suoi propri, il cui assolvimento ben può giustificare l’imposizione di limitazioni nell’esercizio di diritti che spettano ad altre categorie di cittadini.

E' in questo contesto normativo che si colloca il censurato art. 210, il quale contempla in sé due norme:

  • una, esplicita, che consente l’esercizio della libera professione ai medici militari;
  • l’altra, implicita, che ne limita il campo applicativo escludendo la medesima facoltà agli psicologi militari.

Consulta: irragionevole disparità di trattamento 

Ebbene, la limitazione soggettiva della facoltà di esercitare la libera professione - derogatoria al principio generale dell’esclusività della professione militare - determina un’irragionevole disparità di trattamento tra le due situazioni poste a confronto, quella dei medici e quella degli psicologi militari, situazioni che, sotto il profilo in esame, sono tra loro omogenee e, in quanto tali, suscettibili di valutazione comparativa.

Secondo la Consulta, infatti, dato che entrambi i professionisti - medici e psicologi militari - erogano prestazioni volte anche alla tutela dell’integrità psichica e rientrano, allo stato, nell’unitaria categoria del personale militare abilitato all’esercizio della professione sanitaria, gli stessi vanno equiparati sotto il profilo della facoltà di svolgere la libera professione.

Il tutto a prescindere dall’eventuale diversità di ruoli e di progressione di carriera, che può riscontrarsi nell’ambito dei rispettivi corpi sanitari di appartenenza.

Per la Corte, in definitiva, non emergerebbero ragioni idonee a giustificare il riconoscimento della illustrata facoltà esclusivamente ai medici militari.

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