Procedura fallimentare: la lunghezza massima è di sette anni
Autore: Eleonora Pergolari
Pubblicato il 08 gennaio 2010
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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 28318 del 31 dicembre 2009, ha accolto il ricorso presentato da un uomo contro la decisione con cui la Corte d'Appello di Torino gli aveva negato il diritto all'indennizzo per le lungaggini di una procedura fallimentare nella quale lo stesso risultava unico creditore. Il procedimento si era dilungato per oltre sette anni e per questo l'uomo aveva chiesto di essere risarcito da parte del ministero della Giustizia.
Intervenuta nella causa, la Corte di legittimità non solo ha condannato il ministero al pagamento della somma pari ad euro 3.250 oltre spese legali in favore del ricorrente ma ha, altresì, colto l'occasione per fornire importanti chiarimenti in materia; in particolare - spiega la Cassazione – il termine di ragionevole durata entro il quale la procedura di fallimento dovrebbe essere definita, qualora non emergano elementi a conforto della particolare semplicità della medesima, può identificarsi, in linea tendenziale, in sette anni (ragionevole durata di sei anni per tre gradi di giudizio dei procedimenti incidentali nascenti dal fallimento nonché ulteriore termine di un anno necessario per il riparto dell'attivo) e ciò alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia europea e degli elementi concernenti il procedimento fallimentare stesso. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la durata ragionevole del fallimento non è suscettibile di essere predeterminata secondo lo stesso standard del processo ordinario, in quanto questo tipo di procedura è da solo “un contenitore di processi”. Di conseguenza, la durata ragionevole stimata in tre anni può essere identificata solo nel caso di fallimento con unico creditore.
Intervenuta nella causa, la Corte di legittimità non solo ha condannato il ministero al pagamento della somma pari ad euro 3.250 oltre spese legali in favore del ricorrente ma ha, altresì, colto l'occasione per fornire importanti chiarimenti in materia; in particolare - spiega la Cassazione – il termine di ragionevole durata entro il quale la procedura di fallimento dovrebbe essere definita, qualora non emergano elementi a conforto della particolare semplicità della medesima, può identificarsi, in linea tendenziale, in sette anni (ragionevole durata di sei anni per tre gradi di giudizio dei procedimenti incidentali nascenti dal fallimento nonché ulteriore termine di un anno necessario per il riparto dell'attivo) e ciò alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia europea e degli elementi concernenti il procedimento fallimentare stesso. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la durata ragionevole del fallimento non è suscettibile di essere predeterminata secondo lo stesso standard del processo ordinario, in quanto questo tipo di procedura è da solo “un contenitore di processi”. Di conseguenza, la durata ragionevole stimata in tre anni può essere identificata solo nel caso di fallimento con unico creditore.
- Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi – Notizie, p. 22 - Fallimento lungo creditori risarciti
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