Operazioni di borsa abusive: Banca condannata allo storno degli addebiti

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Operazioni di borsa abusive: Banca condannata allo storno degli addebiti

Al correntista va riconosciuto lo storno degli addebiti in caso di scoperture sul proprio conto corrente conseguenti all'esito negativo di abusive operazioni di borsa dallo stesso mai disposte.

Confermata, dalla Cassazione, la condanna impartita a carico di un istituto di credito che non aveva tenuto indenne una cliente dagli addebiti relativi a operazioni di borsa abusivamente poste in essere sui propri conti correnti.

La correntista, dopo aver appreso che i tre conti di cui era titolare presentavano una scopertura di quasi un milione di euro a causa dell'esito negativo di operazioni di borsa da lei mai disposte, aveva adito le vie giudiziarie per chiedere lo storno degli addebiti dai propri conti correnti e, comunque, di depurare i medesimi c/c da qualsiasi effetto derivante dalle suddette operazioni di borsa.

La banca, costituitasi in giudizio, aveva dedotto che le operazioni in parola erano state eseguite dal figlio della correntista, col consenso della madre.

Scoperture a causa di abusi? Al correntista spetta lo storno degli addebiti

Tale ultima ricostruzione non è stata tuttavia condivisa dalla Corte d'appello, atteso che dall'esame della vicenda era emerso, in realtà, che le operazioni di borsa erano state poste in essere dal figlio, mediante falsificazione materiale della firma della madre.

Non era, ciò posto, "per nulla anomalo", e "comunque non necessariamente connesso ad una forma di complicità con il figlio", il dedotto disinteresse mostrato dalla correntista nei confronti degli estratti conto dei propri c/c: rientrava, infatti, nella normalità delle relazioni familiari che un figlio provvedesse alle incombenze bancarie, riscuotendo la pensione dell'anziana madre. 

Dal contenuto della sentenza penale di condanna del figlio medesimo, inoltre, non erano emerse circostanze tali da poter affermare la consapevolezza della donna in ordine alle operazioni effettuate con la sua firma apocrifa.

Conclusioni, queste, a cui ha aderito anche la Suprema corte che, con sentenza n. 28718 del 4 ottobre 2022, ha giudicato infondati e inammissibili i motivi di ricorso sollevati dalla banca.

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