Non è reato il mero superamento dei limiti acustici
Autore: Eleonora Mattioli
Pubblicato il 23 marzo 2015
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Il semplice superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore legislativamente previsti, nell’esercizio di mestieri, non integra il reato di cui all’art. 659 c.p. bensì l’illecito amministrativo di cui all’art. 10 comma 2 L. 447/1995.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 7912 del 23 febbraio 2015, in accoglimento del ricorso presentato dal titolare di un’attività commerciale, condannato ex art. 659 c.p., per aver - mediante emissioni sonore provenienti da sistemi di raffreddamento asserviti alla predetta attività - disturbato le occupazioni ed il riposo delle persone.
Ha ritenuto la Cassazione, come la sentenza qui impugnata sia, nella sua motivazione, totalmente priva di qualsiasi riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie contestata.
In particolare, perché ricorra il reato di cui all’art. 659 c.p. – a detta della Corte Suprema– non basta che i rumori prodotti in occasione di un mestiere o un’attività- come constatato nel caso in esame - superino i limiti massimi o differenziali di emissioni acustiche, fissati dalle leggi in materia.
Né il giudice di merito, d’altra parte, ha qui sufficientemente accertato che i condizionatori da cui proveniva l’inquinamento acustico denunciato, fossero effettivamente collegati all’attività commerciale esercitata dell’imputato; quale altro indispensabile elemento di cui al reato contestato.
Manca infine la effettiva dimostrazione che i rumori in questione – denunciati dal solo abitante l’appartamento sovrastante – fossero idonei ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone.
Deve dunque concludersi che la fattispecie qui in esame, sia inquadrabile, piuttosto che nel reato di cui all’art. 659 c.p., nell’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2 L. 447/1995, in applicazione del principio di specialità ex L. 689/1981
- ItaliaOggi7, p. 17 – Rumore, non sempre c'è reato – De Stefanis
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