No all’accertamento induttivo se il professionista aderisce al contraddittorio

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Il solo scostamento dai parametri non può essere considerato sufficiente per il Fisco per spiccare un atto di accertamento induttivo nei confronti di un professionista, se quest’ultimo ha aderito al contraddittorio.

Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19866 del 14 novembre 2012.

I Supremi giudici, respingendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, hanno fissato un altro importante principio relativamente all’accertamento basato sugli standard, sostenendo che il semplice scostamento dai parametri non è sufficiente per il Fisco, che deve necessariamente svolgere ulteriori ricerche.

L’accertamento tributario standard, che si basa sull'applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non può essere determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto ai parametri considerati. L'accertamento trova ragione di esistere solo in relazione al contraddittorio che deve essere attivato obbligatoriamente.

Si tratta di un onere della prova di non poco conto che viene riconosciuto in capo all’Amministrazione finanziaria, dal momento che proprio ad essa viene attribuito l’incarico di approfondire i controlli sulla contabilità del professionista, non solo per disconoscere eventuali costi ma anche per motivarli. Il contribuente solo se non risponde all’invito del contradditorio e rimane inerte può essere condannato per tale suo comportamento e l’ufficio può motivare l’accertamento basandosi esclusivamente sugli standard, adducendo proprio come motivazione il fatto di non aver potuto prendere in considerazione ulteriori elementi in quanto il suo invito è stato rifiutato.
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