Niente truffa senza ingiusto profitto

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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 25956 depositata lo scorso 1° luglio 2011, ha annullato, senza rinvio, la decisione con cui la Corte d'appello di Caltanissetta, confermando quanto statuito dai giudici di primo grado, aveva condannato un docente per il reato di truffa continuata in danno dell’Amministrazione scolastica per aver ottenuto alcuni incarichi di supplenza a tempo determinato, traendo in errore i Dirigenti scolastici circa il possesso dei requisiti di legge; lo stesso, in particolare, non aveva dichiarato di essere in una situazione di incompatibilità derivante dall’esercizio di una attività commerciale come sancita ai sensi dell'articolo 508 del decreto legislativo 297/94.

Per i giudici di legittimità, in particolare, era da escludere che il reato contestato si fosse configurato in considerazione dell'assenza del concretizzarsi di un ingiusto profitto a vantaggio dell'imputato.

“Percepire una retribuzione, a fronte di un'attività lavorativa effettivamente prestata” - sottolinea la Corte - “anche se in esecuzione di un contratto nullo perché l'agente versava in condizione di incompatibilità, non può essere considerato ingiusto profitto, essendo la retribuzione comunque dovuta al lavoratore, a norma dell'articolo 2126 del codice civile”.
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