No a mansioni inferiori senza la prova della riorganizzazione aziendale
Pubblicato il 03 febbraio 2023
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Assegnare al lavoratore mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, pur rientranti nella medesima categoria legale, è ammesso nell'ipotesi di modifica degli assetti organizzativi dell'azienda che incida sulla posizione del dipendente in questione.
E' pertanto da ritenere ingiustificata un'eventuale assegnazione a mansioni inferiori in assenza di prova di una riorganizzazione aziendale destinata a influire sulla posizione di lavoro dallo stesso ricoperta.
Lo ribadisce la Corte di cassazione, nel testo dell'ordinanza n. 3131 del 2 febbraio 2023, pronunciata in rigetto del ricorso promosso da una Spa contro la decisione con cui la Corte d'appello aveva accertato l'illegittimità del mutamento di mansioni disposto dalla società nei confronti di un proprio dipendente.
La vicenda esaminata riguardava una lavoratrice, assegnata alle mansioni di operatrice di call center dopo che la stessa aveva svolto, per circa otto anni, le mansioni di team leader.
L'esigenza riorganizzativa di riduzione del numero complessivo dei team leader dell'azienda - per come dedotta da parte datoriale - risultava smentita dal fatto che, in epoca successiva al demansionamento della donna, altri dipendenti erano stati assegnati a tali mansioni.
Di fatto, quindi, la sua assegnazione alle mansioni di call center era ingiustificata, in mancanza della prova di una riorganizzazione aziendale destinata a influire sulla posizione che ricopriva in precedenza.
Tale accertamento di fatto - ha evidenziato la Cassazione - era divenuto definitivo in considerazione della preclusione derivante dall'esistenza di "doppia conforme".
Inoltre, la società non aveva argomentato, quale valida deduzione del vizio motivazionale, che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo e quelle alla base della sentenza di appello, fossero diverse, di tal ché le relative doglianze erano da ritenere inammissibili in sede di legittimità.
In definitiva, a conferma della decisione di condanna pronunciata in sede di gravame, l'azienda dovrà ora riassegnare la lavoratrice alle mansioni in precedenza svolte o ad altre equivalenti, corrispondendo alla stessa il risarcimento del danno subito, quantificato, in via equitativa, in una somma pari a un quarto della retribuzione all'epoca goduta, per ciascun mese di demansionamento.
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