Negligenza del difensore, incide sull’esito della causa?
Pubblicato il 15 ottobre 2019
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Chiarimenti della Cassazione su come stabilire se una particolare omissione dell'avvocato possa aver avuto una certa incidenza sul risultato della causa.
E’ stata confermata la decisione con cui la Corte d’appello aveva rigettato la domanda per responsabilità professionale avanzata da una donna contro l’avvocato che era stato il domiciliatario del proprio legale in una precedente causa.
L’attrice aveva asserito di essere stata danneggiata in quanto il domiciliatario non aveva tempestivamente informato l'avvocato difensore dell’ordinanza di ammissione della prova.
In primo grado, detta domanda era stata accolta sul presupposto che, ove assunte, le prove avrebbero consentito un esito diverso e favorevole della lite.
Diversamente, la Corte di gravame aveva smentito questa tesi, ritenendo non provato il nesso di causalità tra la negligenza del difensore domiciliatario e l'esito della lite. Da qui il ricorso in sede di legittimità.
Obbligazione di mezzi non di risultato
Con sentenza n. 25778 del 14 ottobre 2019, la Terza sezione civile di Cassazione ha ritenuto infondate le ragioni della ricorrente.
In primo luogo, ha ricordato la regola giurisprudenziale secondo cui "non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente... il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici."
Una regola che – ha precisato la Corte - se male intesa, rischia di trasformare la responsabilità del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato.
Se infatti la negligenza dell'avvocato venisse considerata come causalmente rilevante quando egli abbia fatto perdere la causa, o non abbia fatto conseguire al cliente il risultato sperato, si rischierebbe, appunto, una tale trasformazione.
L'avvocato, invece, non deve difendersi dall'accusa di aver fatto perdere la causa bensì, eventualmente, di aver perso la probabilità che il cliente aveva di vincere.
La valutazione del giudice di merito – ha continuato la Suprema corte - deve quindi evitare di attribuire al nesso causale la probabilità che è propria della chance: avere il 20% di vincere una causa è cosa diversa dal fatto che il difensore ha contribuito al 20% a far perdere la causa.
Indagine prognostica sulla domanda proposta
Nel caso in esame, l'indagine prognostica andava, pertanto, effettuata sul tipo di domanda proposta dalla parte nel giudizio inziale.
Per stabilire se l'omissione dell'avvocato abbia avuto una certa incidenza sul risultato - si legge nella decisione - necessariamente occorre riferirsi per l'appunto al risultato sperato nel giudizio in cui è ipotizzata la colpa del difensore, che altro non è se non la domanda fatta in giudizio, ossia il bene della vita preteso dalla parte.
E nella specie, era proprio rispetto a tale domanda che la Corte di appello aveva ritenuto non influente la negligenza del difensore, avendo il tribunale di quel giudizio rigettato le pretese della donna sulla base dei soli documenti, che dimostravano corrispondenza di estensione tra il bene promesso e quello consegnato.
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