Malattia professionale su presunzioni

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Malattia professionale su presunzioni

In tema di accertamento probatorio, qualora l’accertamento abbia natura medico – legale e sia diretto a verificare la dipendenza causale di una determinata malattia rispetto all’attività lavorativa, trova applicazione il criterio secondo cui deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale qualora sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, respingendo il ricorso dell’Inail avverso la pronuncia con cui era stata riconosciuta l’origine professionale di una malattia, con conseguente sussistenza del danno biologico.

Nel caso di specie, in particolare, secondo la Corte territoriale, ad esito della perizia medico legale era stato possibile accertare che il complesso morboso da cui risultava affetto il lavoratore fosse di natura professionale, stante l’esposizione significativa e prolungata all'amianto per diversi anni.

E la Cassazione, confermando detta statuizione, ha condiviso le conclusioni del consulente d’ufficio, attestanti la sussistenza dei seguenti elementi: 1) l’elemento topografico; 2) l’elemento cronologico; 3) l’efficienza lesiva dell’amianto rispetto alla specifica malattia; 4) l’elemento di esclusione di altra causa.

Prova per presunzioni anche in via esclusiva

D’altra parte in più occasioni la stessa Corte di legittimità ha affermato che la prova per presunzioni può costituire “prova completa” al quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra gli elementi sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda. E ciò senza che possa legittimamente predicarsi, per converso, nel sistema processualcivilistico, l’esistenza di una gerarchia di fonti di prova (fatto salvo, ovviamente, il limite della motivazione del proprio convincimento da parte del giudicante).

Sulla scorta di detta argomentazione, la Corte di Cassazione – con sentenza n. 17528 del 2 settembre 2016 – ha dunque confermato l’obbligo risarcitorio a carico dell’Ente ricorrente. 

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