Lo storno delle fatture false non elude il reato
Autore: Roberta Moscioni
Pubblicato il 13 gennaio 2011
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È punibile con il reato di falsa fatturazione l’imprenditore che ha emesso fatture a fronte di operazioni inesistenti, anche se in un secondo momento ha proceduto ad annullarle, aderendo al ravvedimento operoso.
La precisazione giunge dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 608 del 12 gennaio 2011. Per la Corte, il ricorso al rimedio del ravvedimento operoso non ha annullato l’impianto accusatorio, anche perché di fatto l’imprenditore pur aderendo al ravvedimento non ha mai versato l’imposta. Cioè, dalla ricostruzione dei fatti, i Supremi Giudici hanno desunto chiaramente che nessun adempimento, neppur minimo, era stato posto in essere a fronte dei contratti simulati; né vi era stato alcun pagamento in relazione ad essi. Inoltre, alcuna reazione era stata posta in essere dalla società a seguito dell’inadempimento contrattuale dell’altra parte.
Le circostanze, per la Corte rappresentano elementi gravi, precisi e concordanti che provano, senza alcun dubbio, che l’imprenditore aveva emesso le fatture per operazioni inesistenti al solo fine di consentire alla controparte l’evasione di imposte, sotto forma di acquisizione di crediti IVA.
La conclusione è che: “il reato di emissione di fatture false per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8, Dlgs 74/2000, è configurabile anche in caso di emissione di fatture tra società facenti capo allo stesso soggetto, atteso che pure in tale ipotesi si delinea la intersoggettività richiesta per integrare la finalità di consentire a terzi la evasione di imposta”.
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