L’indeducibilità dei costi derivanti da reati sottoposta a censure di costituzionalità

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La questione della ripresa a tassazione da parte del Fisco dei costi ritenuti non deducibili perché riferibili ad atti considerati reati compiuti dagli amministratori di una società è stata rimessa all’attenzione della Corte Costituzionale. Secondo la Ctp di Terni l’atto è da sottoporre alla Consulta in quanto in contrasto con gli articoli 3, 27 e 53 della Carta Costituzionale (ordianza 11 novembre 2009).

L’indeducibilità dei suddetti costi si rileva inadeguata, data la riferibilità astratta a reati, anche se non accertati con sentenza di condanna irrevocabile. Pertanto, qualora si volesse legare il giudizio tributario a quello penale sarebbe necessario che il primo venisse subordinato ad una sentenza penale definitiva, con una sorta di ribaltamento della regola definita della “pregiudizialità tributaria”. Tuttavia, il subordinamento del processo tributario a quello penale ai fini di un atto di accertamento non può essere avvalorato, dato che il rapporto tra i due processi è di piena autonomia. Dunque, il processo di accertamento e quello tributario non possono essere sospesi per la pendenza del processo penale. Da qui, la conclusione che ferma restando l’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecita, i relativi costi e spese seguirebbero un regime fiscale diverso a seconda della tipologia di illecito compiuto.

Anche in
  • Il Sole 24 Ore – Norme e tributi, p. 19 – Alla Consulta l’indeducibilità dei costi leciti – De Mita

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