Licenziato il dipendente ripreso a rubare. Telecamere ammesse
Pubblicato il 03 maggio 2017
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L’adozione, da parte del datore di lavoro, di strumenti di controllo a carattere “difensivo” (nella specie, telecamere), non necessita tout court del preventivo accordo con le rappresentanze sindacali né di alcuna specifica autorizzazione ex art. 4 Legge n. 300/1970, in quanto volto a prevenire condotte illecite suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza del patrimonio aziendale ed il regolare corretto svolgimento della prestazione lavorativa.
Ammessi controlli “occulti” diretti ad accertare comportamenti illeciti
Va dunque affermata una tendenziale ammissibilità dei suddetti controlli difensivi “occulti”, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Fermo restando, in ogni caso, che le modalità di accertamento debbano esplicarsi mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore al controllo ed alla difesa dell’organizzazione produttiva aziendale deve necessariamente contemperarsi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, respingendo le ragioni di un dipendente, licenziato in quanto ripreso con una telecamera, collocata nei locali del magazzino, a rubare reiteratamente alcuni prodotti ivi conservati.
Controllo sul patrimonio aziendale, non sull'attività lavorativa
Come correttamente ritenuto dai giudici di merito – sostengono gli ermellini – l’attività di controllo nella specie posta in essere da parte datoriale, non aveva ad oggetto l’attività lavorativa ed il suo corretto adempimento, ma era ispirata alla sola necessità di tutelare il patrimonio aziendale. Né, d’altra parte, era stata attuata con modalità eccessivamente invasive; così ponendosi, dunque, al di fuori del campo di applicazione dell’art. 4 Legge n. 300/1970.
Le telecamere in questione, difatti – conclude la Corte con sentenza n. 10636 del 2 maggio 2017 – erano state installate nel locale del magazzino ove erano collocati i prodotti in vendita, e le operazioni di magazzino non rientravano nell'ambito delle mansioni di competenza dei dipendenti (tra cui l’impiegato licenziato), trattandosi di compiti affidati agli addetti di agenzie esterne (c.d. merchandiser).
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