Licenziamento se si pregiudicano i rapporti commerciali del datore

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Licenziamento se si pregiudicano i rapporti commerciali del datore

Il Tribunale di Avellino ha confermato il licenziamento disciplinare per giusta causa disposto da una società ad un proprio dipendente, in conseguenza della divulgazione, da parte di questi, di informazioni e notizie atte a pregiudicare i rapporti commerciali della datrice di lavoro, danneggiando la relativa immagine aziendale.

Il lavoratore, un addetto al servizio di vigilanza, aveva impugnato il provvedimento sanzionatorio chiedendo che venisse accertata l'illegittimità e/o la nullità del recesso, in quanto discriminatorio, vessatorio, sproporzionato, nonché per mancata affissione del codice disciplinare, per violazione del ne bis in idem e del diritto di difesa.

Giusta causa di licenziamento per danno all’immagine aziendale

La massima sanzione espulsiva era stata comminata per motivi disciplinari sulla base delle seguenti motivazioni "essendosi lamentato direttamente con il cliente ...comunicando con quest'ultime tramite mail del …, ledendo in tal modo l'immagine aziendale, si è interrotto il rapporto fiduciario in essere in maniera tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, neanche in termini provvisori".

L'intimazione del licenziamento faceva seguito al precedente "richiamo disciplinare", per i medesimi fatti e senza preventiva contestazione degli addebiti.

Con ordinanza depositata il 4 maggio 2021, il Tribunale di Avellino ha respinto il ricorso del dipendente e, per l'effetto, dichiarato legittimo il licenziamento senza preavviso intimato dalla società datrice di lavoro.

Secondo i giudici di prime cure, le condotte tenute dal prestatore di lavoro erano tali da infrangere definitivamente e irrecuperabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, facendo ragionevolmente dubitare il datore sull'adempimento delle obbligazioni lavorative future da parte del medesimo dipendente, e sull'adozione di comportamenti improntati al rispetto dei principi di correttezza, buona fede, diligenza e fedeltà.

La gravità della condotta e il disvalore disciplinare ad essa correlata rendevano del tutto proporzionata l'adozione della massima sanzione espulsiva.

Senza dubbio, la sussistenza della ragione sottesa, con esclusione dunque di ragioni simulate o pretestuose, escludeva la ritorsività del recesso datoriale, con conseguente infondatezza del motivo di doglianza, sollevato in proposito dal ricorrente.

Recesso per giusta causa, lesione del vincolo fiduciario

Il comportamento tenuto dal dipendente, ciò posto, è stato valutato dal Tribunale alla luce dei principi di diritto affermati, in tema di giusta causa di licenziamento, dalla giurisprudenza di legittimità, per come richiamati nel testo dell’ordinanza.

In particolare, è stato ricordato che ".. la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo allo scopo essere valutata - da un lato - la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale nonché - dall'altro lato - la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare”.

E ancora: “la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge“ (tra le altre, Cass. n. 7426/2018; Cass. n. 6498/2012).

Tale valutazione rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice e non è vincolata dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo.

Licenziamento discriminatorio: onere probatorio del lavoratore

Rispetto al motivo di doglianza con cui il lavoratore aveva censurato la discriminatorietà del licenziamento intimato, il giudice del lavoro ha sottolineato che non era ben chiaro quale fosse il lamentato fattore di rischio, né il trattamento deteriore ad egli riservato, quale titolare di una posizione differenziata.

Il Tribunale di Avellino ha così ricordato che in tema di licenziamento discriminatorio “incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso”.

Nel caso in esame, tuttavia, non erano state fornite sufficienti allegazioni in punto di fatto.

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