Licenziamento ritorsivo e whistleblowing: onere della prova invertito

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Il whistleblowing è divenuto, anche nell’ordinamento italiano, uno strumento centrale per garantire la trasparenza e la legalità all’interno delle organizzazioni. Il legislatore, con l’attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 mediante il Decreto Legislativo n. 24/2023, ha rafforzato significativamente la tutela del segnalante, prevedendo espressamente un regime di inversione dell’onere della prova nei casi in cui il lavoratore subisca ritorsioni a seguito di una segnalazione interna.

Whistleblowing, tutela del dipendente e onere della prova in caso di licenziamento

Cos’è il whistleblowing: definizione e contesto normativo  

Il whistleblowing si configura come l’attività mediante cui un dipendente (o altro soggetto legittimato) segnala condotte illecite o irregolarità riscontrate nell’ambiente lavorativo, attraverso canali interni o esterni messi a disposizione dal datore di lavoro o da enti pubblici.

Con il Decreto legislativo citato, applicabile dal 15 luglio 2023, sono stati introdotti obblighi di attivazione dei canali di segnalazione per le imprese con almeno 50 dipendenti, e sono state previste garanzie di riservatezza e protezione contro le ritorsioni.

Tutele contro le ritorsioni e centralità dell’onere della prova  

L’aspetto centrale della riforma è rappresentato dalla tutela del segnalante contro atti ritorsivi, tra cui, in primis, il licenziamento. L’art. 17 del decreto prevede un meccanismo di presunzione legale di ritorsione, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del datore di lavoro.

Inversione dell’onere della prova nei casi di whistleblowing  

Nel dettaglio, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 24/2023:

“Nell’ambito di procedimenti giudiziari [...] si presume che [gli atti lesivi] siano stati posti in essere a causa della segnalazione [...] L’onere di provare che tali condotte sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione è a carico di colui che le ha poste in essere.”

Tale previsione sposta l’onere probatorio sul datore di lavoro, che deve dimostrare l’assenza di un nesso causale tra la segnalazione e il provvedimento sanzionatorio adottato.

Il caso: sentenza del Tribunale di Milano n. 1680/2025

Con la sentenza n. 1680 del 6 giugno 2025, il Tribunale di Milano ha fatto applicazione di questa normativa sul whistleblowing, sancendo l’inversione dell’onere della prova nei licenziamenti ritorsivi post-segnalazione.

I fatti oggetto della controversia  

Con ricorso ex art. 414 c.p.c., un dipendente assunto a tempo indeterminato nel gennaio 2023 come Account Manager ha impugnato il licenziamento per giusta causa intimato il 16 maggio 2024, sostenendo che si trattasse di un atto ritorsivo, successivo a una segnalazione effettuata tramite canale whistleblowing in data 22 aprile 2024.

La contestazione disciplinare verteva su presunti comportamenti disfunzionali (mancata visita ai clienti, gestione non idonea della rete agenti, episodi di insubordinazione), ma le accuse risultavano generiche e prive di concreta rilevanza disciplinare.

La posizione del datore di lavoro  

La società resistente ha negato ogni intento ritorsivo, sostenendo la legittimità del licenziamento e affermando che la propria dimensione non consentiva l’applicazione della tutela reintegratoria.

Applicazione delle nuove previsioni 

Ebbene, il Tribunale ha accolto integralmente il ricorso del lavoratore, ribadendo che quando un lavoratore presenta una segnalazione - come avvenuto nel caso in esame - è il datore di lavoro a dover provare che il licenziamento o eventuali provvedimenti pregiudizievoli non costituiscono una reazione alla segnalazione stessa.

Nella pronuncia, il giudice del lavoro ha inoltre evidenziato che, nella specie:

  • vi era contiguità temporale tra la segnalazione (22 aprile) e l’avvio della procedura disciplinare (9 maggio);
  • erano inconsistenti le contestazioni disciplinari sollevante contro il dipendente, prive di riferimenti puntuali e di concreta lesività;
  • vi era stata la pubblicazione di un annuncio su LinkedIn per la sostituzione del lavoratore prima ancora dell’avvio della contestazione;
  • era stata preventivamente disattivata la e-mail aziendale del dipendente, con ritiro degli strumenti di lavoro già nella fase della contestazione.

Tutti questi elementi hanno contribuito a rafforzare la presunzione di ritorsione, non superata da alcuna prova contraria da parte del datore di lavoro.

Il riconoscimento della nullità del licenziamento  

Il Giudice, in definitiva, ha dichiarato nullo il licenziamento per motivo illecito determinante, disponendo la reintegrazione del lavoratore e condannando la società al pagamento di un’indennità commisurata alle retribuzioni maturate tra il licenziamento e la reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.

Coordinamento tra normativa whistleblowing e diritto del lavoro  

La sentenza rappresenta una delle prime applicazioni giurisprudenziali dell’art. 17 del D.Lgs. 24/2023, ponendosi come precedente rilevante nel coordinamento tra le tutele antidiscriminatorie del diritto del lavoro e la nuova disciplina a tutela del segnalante.

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