Licenziamento nullo e poteri ispettivi
Pubblicato il 05 febbraio 2015
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La bozza di decreto attuativo della legge delega n. 183/2014 (Jobs Act) contiene disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e ridisegna la disciplina dell’art. 18 della L. n. 300/70 sui licenziamento illegittimi.
L’applicazione di quest’ultima disciplina è circoscritta ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri e che risultano assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal momento in cui il decreto entrerà in vigore (cfr. art. 1 comma 1).
Tuttavia il nuovo regime estende la sua operatività anche ai lavoratori già in forza (cfr. art. 1 comma 2), se il datore di lavoro, successivamente all’entrata in vigore del decreto attuativo, effettui nuove assunzioni che determinino il superamento della soglia occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma della L. n. 300/70 (oltre di 15 lavoratori o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo).
La nuova disciplina limita il diritto alla reintegra alla sola ipotesi in cui il licenziamento sia illegittimo perché nullo (cfr. art. 2). In tal caso il regime di tutela prescinde dalle dimensioni aziendali e dalla qualifica imprenditoriale del datore di lavoro.
Si considera nullo il licenziamento intimato perché:
1) discriminatorio (es. intimato per ragioni politiche o razziali o di sesso);
2) espressamente qualificato tale dalla legge (es. il licenziamento intimato a causa di matrimonio);
3) intimato in forma orale.
Se il licenziamento è nullo il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto. Tant’è che il Giudice, con la pronuncia che dichiara la nullità, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro a prescindere del motivo formalmente addotto (cfr. art. 2 comma 1).
Il lavoratore, oltre al diritto a riprendere servizio, matura il diritto a conseguire il risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto per il periodo compreso dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. La misura del risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro, per il medesimo periodo, è tenuto al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali (art. 2 comma 2).
Fermo il diritto al risarcimento del danno di cui all'art. 2 comma 2, la reintegra non ha luogo e il rapporto di lavoro si intende risolto quando alternativamente:
1) il lavoratore, a seguito dell’ordine del giudice, non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito all’uopo formulato dal datore di lavoro (cfr. art. 2 comma 1);
2) il lavoratore, entro trenta giorni dalla comunicazione di deposito della pronuncia ovvero dall’invito formulato dal datore di lavoro, se anteriore alla predetta comunicazione, richieda a quest’ultimo un indennizzo pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. In tale ipotesi il versamento dell’indennizzo non è soggetto a contribuzione previdenziale (cfr. art. 2 comma 3).
La nullità è una categoria giuridica rilevabile da chiunque vi abbia interesse e soprattutto opera di diritto, con la conseguenza che la stessa è dichiarabile, anche agli effetti amministrativi, dal personale ispettivo.
L’accertamento della nullità del licenziamento sottende la dichiarazione espressa o implicita che il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore non è stato mai interrotto. In tal evenienza si ritiene che l’ispettore possa adottare, oltre alla sanzione amministrativa, anche un provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124/04, con cui intima alla parte datoriale di riprendere in servizio il dipendente.
La disposizione è infatti adottabile dall’ispettore del lavoro qualora il datore di lavoro violi un obbligo di carattere generale posto dalla legge i cui margini attuativi di apprezzamento vengono rimessi all’autorità amministrativa.
A questo punto la procedura descritta dal decreto attuativo e prevista per la tutela giurisdizionale può essere trasposta sul piano amministrativo, tenendo tuttavia presente che i provvedimenti ispettivi non sono muniti dell’esecutorietà di cui all’art. 21 ter della L. n. 241/90 e s.m.i.
L’esecutorietà è la capacità dell’atto amministrativo di imporsi unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi, anche con l’eventuale impiego di mezzi coattivi (es. espropriazione per pubblica utilità).
In concreto (e in alcuni casi espressamente previsti dalla legge): l’amministrazione provvede direttamente a dare attuazione ai propri atti senza dover rivolgersi al giudice per ottenere un provvedimento giurisdizionale di esecuzione che adegui la situazione di fatto a quella di diritto.
Proprio perché gli atti ispettivi non sono dotati di esecutorietà, l’inadempimento agli stessi non può che comportare a carico della parte inadempiente l’irrogazione di sanzioni di natura pecuniaria, eventualmente sottoposte alla procedura di esecuzione forzata mediante iscrizione a ruolo.
La parte datoriale, una volta recapitato il provvedimento di disposizione, dovrà invitare il lavoratore a riprendere il servizio. In questo senso, assume rilievo decisivo la statuizione resa dal TAR Calabria che con sentenza 24 febbraio 2006, n. 133, ha riconosciuto la valenza generale e non restrittiva al potere di disposizione attribuito al personale ispettivo.
Si aprono così le seguenti alternative a seconda che il datore ottemperi o meno al provvedimento de quo:
1) il datore di lavoro non ottempera alla disposizione, con la conseguenza che l’ispettore, non potendo imporre coattivamente l’attuazione del provvedimento, adotta un atto di illecito amministrativo per inosservanza della disposizione e il cui importo è pari a € 860,00.
2) il datore di lavoro ottempera alla disposizione, si aprono allora ulteriori ipotesi:
a) il lavoratore, nel termine di trenta giorni dall’invito del datore, riprende il servizio e la circostanza viene appurata dal personale ispettivo che non adotta nessuna sanzione amministrativa;
b) il lavoratore, nel termine di trenta giorni dall’invito, omette di riprendere, sicché il rapporto di lavoro si estingue. Anche in tale evenienza il personale ispettivo non adotta nessuna sanzione;
c) il rapporto di lavoro si estingue se il lavoratore, successivamente all’adozione del provvedimento di disposizione, comunichi al personale ispettivo di optare per la tutela indennitaria.
- In quest’ultimo caso il provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124 cit. viene ritirato dagli ispettori, i quali congiuntamente adotteranno l’atto di diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit., per un importo commisurato a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Si ritiene invece che non rientri nel campo di applicazione della diffida accertativa l’applicazione dell’art. 2 comma 2 del decreto attuativo, relativo alla tutela risarcitoria pecuniaria accordabile in conseguenza del licenziamento nullo.
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