Licenziamento e privacy

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La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 2056 del 27 gennaio 2011, ha dichiarato legittimo, per giustificato motivo soggettivo, il licenziamento - ad opera di una banca - di un dipendente che aveva consentito ad un soggetto terzo l’uso della propria postazione informatica, affidata in via esclusiva, dopo aver immesso la password. In violazione della sicurezza informatica, la sessione era già stata avviata con le credenziali del dipendente, dunque era possibile da parte del soggetto terzo accedere a dati ed aree riservati.

La Corte, nel legittimare il licenziamento, spiega che la condotta inadempiente e la sanzione disciplinare espulsiva inflitta sono proporzionati. L’addebito costituisce una grave negazione di uno degli elementi del rapporto di lavoro, quello della fiducia.

Sempre in tema di licenziamento e riservatezza dei dati, con il provvedimento del 23 dicembre 2010 – pubblicato nella newsletter 346 del 1° marzo 2011 - il Garante della privacy chiarisce che il datore di lavoro non può accedere ai file personali del dipendente licenziato, conservati nel computer aziendale restituito all'impresa, poiché il trattamento dei dati personali estranei all'attività lavorativa viola i principi di pertinenza e non eccedenza previsti dal Codice della privacy. Tuttavia può conservare gli stessi per far valere il suo diritto a provare l'infedeltà del dipendente (nel caso di specie la concorrenza sleale del lavoratore a favore di una impresa concorrente), in sede penale.
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