La minaccia di licenziamento integra il delitto di estorsione
Pubblicato il 15 febbraio 2022
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Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato caratterizzato dalla prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, dietro minaccia di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.
Il principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 2 febbraio 2022, n. 3724, in riforma alla valutazione dei giudici di merito, che ha ritenuto che la configurabilità del reato di estorsione non richiede – oltre agli elementi tipici della fattispecie – l’ulteriore condizione soggettiva di peculiare debolezza della persona offesa.
In tal senso, la configurazione del reato si realizza nel momento in cui il datore di lavoro prospetta la perdita dell’occupazione, lavorativa approfittando della condizione di prevalenza che veste rispetto al lavoratore subordinato e alla strutturale condizione a lui favorevole dell’offerta sulla domanda di lavoro, coartando il lavoratore nel senso di accettare condizioni di lavoro inique o deteriori dietro minaccia di interruzione del rapporto di lavoro. Resta esclusa, in tale ambito, qualsivoglia valutazione del contesto socio-ambientale e familiare in cui tale coartazione viene effettuata.
Nel caso di specie, erano state accertate dai giudici di merito le inique e illegittime condizioni di lavoro intese a sottoporre il lavoratore a turni di lavoro ininterrotti, ben oltre gli orari pattuiti, per l’espletamento di mansioni non rientranti in quelle oggetto del contratto e con un trattamento retributivo del tutto inadeguato rispetto alle ore lavorative effettivamente svolte ed alle attività effettivamente espletate.
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