Ingiusta detenzione: il provvedimento di rigetto va motivato

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Con sentenza n. 25605 depositata lo scorso 5 luglio 2010, la Corte di cassazione ha annullato un'ordinanza con cui la Corte di appello aveva negato l'ingiusta riparazione in capo ad un uomo che, indagato in un procedimento penale per corruzione continuata e in tale sede sottoposto a custodia cautelare in carcere, era stato poi assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”. 

Secondo i giudici di legittimità, in particolare, la colpa dell'uomo, idonea ad escludere il diritto all'equa riparazione, non poteva essere fondata esclusivamente sul silenzio dallo stesso serbato in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero ed al giudice per le indagini preliminari, “giacché la scelta defensionale di avvalersi della facoltà di non rispondere non può valere ex se per fondare un giudizio positivo di sussistenza della colpa per il rispetto che è dovuto alle strategie difensive che abbia ritenuto di adottare chi è stato privato della libertà personale; e ciò anche qualora a tali strategie difensive possa attribuirsi, a posteriori, un contributo negativo di non chiarificazione del quadro probatorio legittimante la privazione della libertà”. 

 Per la Corte, nel caso in esame il giudice della riparazione era venuto meno all'obbligo motivazionale che, pur non richiedendo di dare ai fatti un'espressa qualificazione giuridica, “esige indubbiamente una indicazione specifica del comportamento che sia stato determinante o sinergico nell'emissione del provvedimento limitativo della libertà personale e che possa integrare il dolo e la colpa grave”.
Anche in
  • ItaliaOggi, p. 22 – Ingiusta detenzione allargata – Mancini

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