Indagine per bancarotta fraudolenta e misura cautelare. La custodia in carcere deve essere adeguata

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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 17355 del 16 aprile 2013, si è pronunciata per l’annullamento, con rinvio, del provvedimento di custodia cautelare in carcere disposto nei confronti dell’amministratore unico e socio unico di una Spa dichiarata insolvente, accusato di aver distratto o comunque distrutto e dissipato il patrimonio della società medesima.

L’annullamento disposto dagli Ermellini è stato limitato alla adeguatezza della misura cautelare in concreto adottata, per come anche confermata dal Tribunale del riesame di Milano. Ed infatti, ritenendo comunque sussistenti le esigenze cautelari nei confronti dell’indagato, la Suprema corte ha sottolineato come, per quel che riguardava l’adeguatezza della misura cautelare, l’organo giudicante di merito non aveva fornito una soddisfacente giustificazione relativamente alla richiesta misura alternativa degli arresti domiciliari. Nel negare quest’ultima, infatti, i giudici milanesi avevano utilizzato un’affermazione apodittica e astratta facendo esclusivo riferimento al fatto che l’indagato avrebbe potuto, anche dal suo domicilio, reiterare condotte analoghe, attraverso l’aiuto di familiari o amici.

 Per contro – chiarisce la Corte – il provvedimento impugnato avrebbe dovuto indicare le circostanze concrete e gli effettivi pericoli di rischio di una collaborazione contra jus con i soggetti indicati, appartenenti, peraltro, a categorie “dagli incerti confini”.
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