Incandidabilità come difetto di un requisito soggettivo dell'elettorato passivo

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Pronunciandosi in materia di incandidabilità derivante da condanna definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo, introdotta dal D. Lgs. n. 235/2012, il Tar del Lazio, con sentenza n. 8696 depositata l'8 ottobre 2013, ha spiegato che, con riferimento alla questione del limite temporale, la ragionevolezza complessiva della disciplina viene assicurata dalla disposizione di chiusura dell'art. 15, comma 3, del D. Lgs. n. 235/2012, “che conferisce esclusivo rilievo all'intervenuta riabilitazione in sede penale, rendendo in tal modo possibile evitare che l'esclusione dall'elettorato passivo, derivante dalla condanna definitiva, abbia una durata illimitata e si sottragga ad ogni possibilità di rimozione”.

L'incandidabilità – aggiungono i giudici amministrativi - “non è un aspetto del trattamento sanzionatorio penale del reato, ma si traduce nel difetto di un requisito soggettivo per l'elettorato passivo”.

Ne discende che l'incandidabilità di specie può riguardare i reati commessi prima dell'entrata in vigore della Legge n. 235/2012, e anche se nel frattempo gli stessi reati sono stati dichiarati estinti per "buona condotta" del condannato.
Allegati Anche in
  • Il Sole 24Ore – Norme e Tributi, p. 27 - Incandidabilità retroattiva - Galimberti

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