Immediatezza “relativa” del procedimento disciplinare nel caso di circostanze complesse
Pubblicato il 01 settembre 2021
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Come noto, tra le caratteristiche dell’atto di apertura del procedimento disciplinare di cui all’art. 7, Legge 20 maggio 1970, n. 300, vi è l’immediatezza o la tempestività delle rilevazioni mosse.
Il predetto principio rinviene, chiaramente, la sua ratio nell’esigenza logico-giuridica di:
- tutelare l’affidamento del lavoratore all’eventuale rinuncia del datore di lavoro di sanzionare la mancanza disciplinare;
- impedire l’indugio del datore di lavoro a cumulare più addebiti formulati nel tempo per rilevarne la maggiore gravità;
- garantire l’effettivo diritto di difesa del dipendente, consentendo, allo stesso, di poter contrastare efficacemente le accuse poste.
Non essendoci riferimenti normativi che individuino, nel concreto, i termini di rispetto del principio di immediatezza, la tempestività dell’addebito deve intendersi in senso relativo, potendo, in concreto, essere compatibile un arco di tempo piò o meno lungo qualora l’accertamento e la valutazione dei fatti siano molto laboriosi e richiedano uno spazio temporale maggiore.
L’assunto, in conformità con i precedenti orientamenti di legittimità, è stato affermato dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza 24 agosto 2021, n. 23332, secondo cui il datore di lavoro è tenuto a portare a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena gli stessi appaiono ragionevolmente sussistenti e, dunque, dopo aver acquisito i dati essenziali della vicenda. Invero, i requisiti di immediatezza e di tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo quando il comportamento del lavoratore configuri una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale e unitaria del datore di lavoro.
Altresì, nel caso de quo, gli Ermellini confermano che l’ulteriore principio di immutabilità della contestazione disciplinare vieta al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività degli altri addebiti posti alla base del licenziamento.
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