Il Got non si astiene, confermata la revoca
Autore: Eleonora Pergolari
Pubblicato il 02 settembre 2010
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Il Consiglio di stato, con sentenza n. 5899 del 23 agosto 2010, ha respinto l'appello proposto da un magistrato onorario avverso la decisione con cui il Tar del Lazio aveva confermato la delibera di revoca disposta dal Consiglio superiore della magistratura nei suoi confronti per inosservanza dei doveri inerenti all'ufficio in quanto, in particolare, non si era astenuto con riferimento ad un procedimento fallimentare in cui era coinvolto il suocero.
Il Got aveva, quindi, adito il Collegio amministrativo per far valere l'incostituzionalità della normativa vigente in ordine alle modalità di accertamento della responsabilità disciplinare dei giudici onorari di tribunale per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione nonché violazione dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo per la mancata previsione di un giudizio di merito a cognizione piena avanti ad un giudice terzo e imparziale. In secondo luogo, veniva eccepito come la fattispecie in esame non integrasse, in realtà, alcuno dei motivi di astensione obbligatoria tassativamente previsti dall'articolo 51 del Codice di procedura civile e che, comunque, la sanzione della revoca fosse illegittima e non proporzionata.
Motivi, questi, non condivisi dal Consiglio di stato secondo cui, da un lato, la disciplina sulla nomina e sulla decadenza dall'incarico dei giudici onorari di tribunale, essendo improntata da caratteri di notevole specialità, non era da considerare incostituzionale. Inoltre, nel caso in esame, la mancata astensione dalla trattazione aveva integrato una violazione dell'articolo 51, comma 2, del Codice di procedura civile il quale impone al magistrato giudicante di valutare l'opportunità di astenersi in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza; le ragioni che avrebbero dovuto indurre l’odierna appellata all’astensione – concludono i giudici amministrativi - erano conosciute e di pubblico dominio e, pertanto, “stante l’entità delle somme oggetto di causa ed il rilievo pubblico della procedura fallimentare, si coglieva agevolmente la risonanza dei possibili sospetti di parzialità del magistrato, tali da comprometterne il prestigio e, di riflesso, quello dell’intero ordine giudiziario”.
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