Guida con alcool, rispettata l’irretroattività della più severa legge penale
Pubblicato il 07 febbraio 2020
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La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata rispetto alla vicenda di un cittadino italiano, condannato per il reato di guida in stato di ebbrezza.
Questi si era rivolto ai giudici di Strasburgo lamentando che la decisione di condanna nei suoi confronti fosse stata inflitta in base a una legge penale successiva, più sfavorevole.
Si doleva, in particolare, di non essere stato ammesso al beneficio delle circostanze attenuanti previste nella legge in vigore al momento dei fatti e successivamente modificata.
La Corte d'Appello, infatti, aveva valutato il caso del ricorrente sulla base del nuovo testo dell'articolo 62 bis del Codice penale, come modificato dalla Legge n. 125/2008, entrato in vigore dopo la commissione del reato.
Da qui la domanda sottoposta alla Corte: nella fattispecie, i giudici italiani avevano applicato la legge più favorevole al reo?
Cedu: nessuna violazione del principio "nessuna pena senza la legge"
Con sentenza depositata il 6 febbraio 2020, pronunciata relativamente al ricorso n. 44221/14, la Corte di Strasburgo ha in primo luogo preso in considerazione la normativa nazionale di riferimento, per come applicata dai giudici di appello.
Rispetto a quest'ultima ha sottolineato che, sebbene la Legge n. 125/2008 avesse modificato l'articolo 62 bis citato restringendo il perimetro di applicazione delle attenuanti, il sistema di valutazione delle circostanze non era stato tuttavia riformato.
Non era stato reso inoperante un criterio che, nella vicenda in esame, sarebbe stato favorevole all’imputato e la valutazione rimaneva, comunque, al giudice.
La Corte di gravame, nella specie, aveva respinto la richiesta di circostanze attenuanti dopo aver effettuato un esame globale dei parametri indicati dall'articolo 133 del c.p. nonchè una valutazione approfondita del comportamento dell’imputato.
Ciò posto, aveva concluso che non vi fossero circostanze che giustificassero la concessione di una riduzione della pena al richiedente.
In definitiva, la condanna era il risultato di un bilanciamento di tutti gli elementi rilevanti e non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 7, ovvero del principio "nessuna pena senza la legge".
Condanna Italia per mancanza di ragioni in cassazione
Nella medesima decisione, la Corte europea ha invece riscontrato una violazione dell’articolo 6 della Cedu, riguardante il diritto ad un equo processo.
Questo perché, nella vicenda in esame, la Cassazione italiana aveva ritenuto irricevibile la domanda dell’imputato sull’assunto che i motivi di ricorso riguardassero questioni di fatto e non di diritto.
Secondo i giudici di Strasburgo, per contro, quella sollevata dal condannato non costituiva questione di fatto al di fuori della giurisdizione della Corte di legittimità.
La questione della presunta applicazione retroattiva della normativa in materia di circostanze attenuanti era uno dei principali argomenti sollevati nel ricorso ed avrebbe meritato una risposta specifica ed esplicita.
Per questi motivi è stato ritenuto che l’imputato non avesse beneficiato di una procedura che gli garantisse un esame efficace dei suoi motivi o una risposta per comprendere le ragioni del loro rifiuto.
Da qui la condanna dell’Italia a 2.500 euro per i danni non patrimoniali subiti dal ricorrente.
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