E’ peculato, anche se ad appropriarsi del denaro è un privato
Autore: Eleonora Mattioli
Pubblicato il 19 marzo 2015
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Con sentenza n. 11397 depositata il 18 marzo 2015, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha respinto il ricorso dell’amministratore di una S.p.a., avverso la pronuncia con cui era stato condannato per peculato, per aver impiegato del denaro dell’amministrazione, a soddisfacimento di interessi privati.
Tra le varie censure, il ricorrente lamentava innanzitutto l’erronea qualificazione del reato contestatogli, in quanto non avrebbe dovuto essere considerato - nello svolgimento della sua attività di gestione contabile - “incaricato di pubblico servizio”, di cui alla fattispecie di peculato.
Sul punto, ha tuttavia ribattuto la Cassazione, come al fine di individuare se l’attività di un soggetto sia da considerarsi come pubblica – ai sensi degli artt. 357 e 357 c.p. – è necessario verificare se sia o meno disciplinata da norme pubblicistiche, indipendentemente dalla connotazione soggettiva del suo autore.
Non si richiede pertanto che l’attività svolta sia direttamente imputabile ad un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato da un organismo privato, realizzi in realtà finalità pubblicistiche.
Il parametro di delimitazione del pubblico servizio è dunque costituito dall’esistenza di una regolamentazione pubblicistica, che nel caso di specie – ha puntualizzato la Corte –può essere individuata, nella Delibera regionale (nonché Legge regionale di cui è attuazione), che vincolava l’attività dell’amministratore al momento dei fatti, limitandone la discrezionalità e fissando specifici obiettivi di natura pubblica (seppur indirizzati ad un soggetto privato).
Né vale ad escludere la configurabilità del reato di peculato – ha poi sottolineato la Cassazione – il fatto che l’imputato avesse puntualmente rendicontato e giustificato le spese della società di cui era amministratore. Egli aveva in realtà la piena disponibilità – attraverso meccanismi di autoliquidazione ed il possesso diretto delle carte di credito aziendali – del denaro di cui in effetti si è appropriato, ben potendolo dirottare a soddisfacimento dei propri interessi.
La successiva rendicontazione altro non costituiva che un’attività di carattere interno e meramente formale.
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