Distacco dei lavoratori. Corte Ue: direttiva legittima
Pubblicato il 09 dicembre 2020
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Con due sentenze datate 8 dicembre 2020, la Corte di giustizia Ue si è pronunciata sui ricorsi di annullamento rispettivamente presentati dall’Ungheria (C‑620/18) e dalla Polonia (causa C-626/18) contro la direttiva 2018/957 in tema di distacco dei lavoratori, ritenuta contraria al diritto dell’Unione.
Si tratta della direttiva comunitaria che ha parzialmente modificato la precedente direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, rafforzando i diritti dei lavoratori distaccati e rendendo le loro condizioni di lavoro e di occupazione le più vicine possibili a quelle dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante.
I due Stati ricorrenti avevano lamentato, in primo luogo, che la scelta della base giuridica delle nuove norme fosse errata. Inoltre, avevano dedotto l’asserita violazione dell’articolo 56 TFUE, sulla libera prestazione dei servizi, e la violazione del regolamento “Roma I”.
Distacco. Concorrenza tra imprese in condizioni più eque
La Corte Ue ha respinto entrambi i ricorsi evidenziando come il legislatore europeo, al momento dell’adozione della direttiva 2018/957, poteva legittimamente fare riferimento alla stessa base giuridica utilizzata per adottare la precedente direttiva 96/71, ossia l’articolo 53, paragrafo 1, e l’articolo 62 TFUE, che consentono di adottare direttive intese a facilitare l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi.
Visto, poi, che il contesto era cambiato, era legittimo che lo stesso legislatore potesse adeguare l’equilibrio alla base di tale direttiva, rafforzando i diritti dei lavoratori distaccati nello Stato membro ospitante affinché la concorrenza tra le imprese che distaccavano lavoratori in tale Paese membro e le imprese stabilite in quest’ultimo si sviluppasse in condizioni più eque.
A seguire, i giudici europei hanno sottolineato che la nuova direttiva non eliminerebbe affatto il vantaggio concorrenziale, in termini di costi, di cui avrebbero beneficiato i prestatori di servizi stabiliti in taluni Stati membri, per come asserito dai ricorrenti: le nuove norme – ha precisato la Corte - non hanno in alcun modo l’effetto di eliminare qualsiasi concorrenza fondata sui costi.
Si prevede, in proposito, di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione di un insieme di condizioni di lavoro e di occupazione nello Stato membro ospitante, tra cui gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori in tale Stato.
Rispetto, poi, alla norma relativa al distacco di lunga durata, il legislatore comunitario – ha sottolineato la Corte di Giustizia - non sarebbe affatto incorso in un errore manifesto nel ritenere che un distacco superiore a dodici mesi dovesse avere la conseguenza di ravvicinare sensibilmente la situazione personale dei lavoratori distaccati interessati a quella dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato ospitante.
Secondo la Corte, infine, nella valutazione d’impatto compiuta dal legislatore - e che lo hanno determinato nella necessità di adeguare la normativa di riferimento - era emerso che l’applicazione delle “tariffe minime salariali” dello Stato membro ospitante non fosse più idonea ad assicurare la tutela di tali lavoratori: da qui l’opportunità di procedere con un rafforzamento dei diritti dei lavoratori distaccati.
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