Dipendente condannato per grave reato: il licenziamento è legittimo
Pubblicato il 04 aprile 2024
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Legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente pubblico condannato, in via definitiva, per aver cagionato l’interruzione della gravidanza della compagna.
Condotta ritenuta di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Licenziamento dopo condanna penale, legittimità
E' stato definitivamente confermato, dalla Cassazione, il licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente comunale, in relazione alla ritenuta rilevanza, quale violazione degli obblighi contrattuali, di una condanna penale definitiva emessa a suo carico.
L'uomo era stato ritenuto penalmente responsabile del reato ascrittogli, consistito nell’aver compiuto atti idonei in modo non equivoco a cagionare l’interruzione della gravidanza della compagna.
La Corte d'appello, diversamente dal giudice di primo grado, aveva giudicato come disciplinarmente rilevante la violazione contestata al lavoratore.
Era legittimo, ossia, che il Comune, datore di lavoro, avesse dato rilievo alle ricadute che la specifica condotta del lavoratore potesse avere sull’immagine dell'ente medesimo e nella percezione della popolazione che vi faceva capo.
Andava considerato, infatti, il disvalore sociale della condotta del prestatore, da apprezzare indipendentemente dal ruolo ricoperto nell’organizzazione dell'amministrazione.
Si era trattato - secondo la Corte di secondo grado - di una condotta di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Di conseguenza, la sanzione disciplinare del licenziamento doveva considerarsi proporzionata.
Il lavoratore si era opposto a tali conclusioni, impugnando la decisione d'appello davanti alla Corte di cassazione.
In questa sede, tuttavia, i motivi del ricorrente sono stati giudicati inammissibili e infondati.
Reato oggettivamente grave, ricadute su immagine del Comune
Sulla vicenda, la Sezione Lavoro della Cassazione si è pronunciata con sentenza n. 8728 del 3 aprile 2024.
Sotto il profilo dell'inammissibilità, la Suprema Corte ha evidenziato che l’impugnazione del ricorrente era complessivamente orientata ad un riesame degli apprezzamenti di merito della Corte territoriale.
Nel concludere per l'infondatezza dei motivi lamentati, inoltre, gli Ermellini hanno escluso che fosse ravvisabile uno scostamento dai criteri valutativi cui deve essere improntato il giudizio sulla ricorrenza della giusta causa di recesso, per come denunciato dal ricorrente. Parimenti, andava escluso che i giudici di merito avessero omesso di considerare elementi di fatto utili ai fini della formulazione di quel giudizio.
A ben vedere, infatti, la pronuncia della Corte territoriale aveva fatto corretta applicazione dei prescritti criteri valutativi, con adeguato apprezzamento di tutti i fatti acquisiti.
In tale contesto, erano stati ritenuti recessivi i profili attinenti agli aspetti soggettivi legati alla peculiare condizione psicologica del ricorrente, al ruolo rivestito in seno all’organizzazione dell’ente, alla condotta pregressa tenuta in ambiente lavorativo, alla carente idoneità lesiva della condotta, rispetto all’oggettiva gravità del reato ascritto e al disvalore sociale del medesimo, alla situazione di conflitto ingenerata rispetto alle finalità ed agli interessi morali dell’ente nonché, infine, al rigore con il quale un'istituzione pubblica è chiamata a valutare l’affidabilità sociale e morale del proprio personale.
Da qui il rigetto del ricorso del lavoratore, con conferma della legittimità del licenziamento disciplinare allo stesso comminato.
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