Correzione d’ufficio di errore materiale: ok a indirizzi da INIPEC
Pubblicato il 19 novembre 2019
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Si segnala un’ordinanza "per correzione di errore materiale" depositata dalla Sesta sezione civile rispetto ad una precedente decisione, n. 24160/2019.
In quest’ultima pronuncia, la Corte, nel dichiarare l’inammissibilità di un regolamento di competenza, aveva affermato che “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC”.
Ravvisando, rispetto a questa particolare affermazione, un palese errore materiale, il relatore designato ha redatto proposta di correzione d’ufficio ex articolo 391-bis c.p.c.
Proposta ritenuta fondata dal Collegio di legittimità, il quale, dopo aver rilevato che la modifica non avrebbe comportato alcuna incidenza sulla decisione assunta, ha disposto la correzione dell’ordinanza, con alcune variazioni rispetto al tenore dell’originaria proposta del relatore.
In particolare – si legge nell’ordinanza di correzione n. 29749 del 15 novembre 2019 – l’affermazione generica della inattendibilità del cosiddetto elenco Inipec, incidentalmente enunciata nel testo della decisione oggetto di correzione, non era suscettibile di mettere in discussione il principio enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 23620/2018.
Pronuncia, quest'ultima, in cui era stato stabilito: “In materia di notificazioni al difensore, in seguito all'introduzione del “domicilio digitale”, ex art.16 sexies d.l. 179 del 2012 e successive conversioni con modifiche, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art.6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INIPEC, sia nel ReGInde, di cui al D.M. 21 febbraio 2011 n. 44 gestito dal Ministero della Giustizia”.
Orbene, in detto contesto l’affermazione in esame – conclude la Corte – “voleva essere giustificata, in realtà, dalla rilevata non riferibilità soggettiva”.
In definitiva, dall'ordinanza n. 24160/2019 è stata espunta e sostituita un’intera proposizione.
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