Congedo di paternità obbligatorio anche alle coppie omogenitoriali

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L’identità di sesso non può giustificare un trattamento deteriore dei genitori, in assenza di elementi di contrarietà all’ordine pubblico. A ricordarlo è la Corte Costituzionale che, con la sentenza del 21 luglio 2025 n. 115, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.Lgs. n. 151 del 2001, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio alla lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.

La Consulta, con la citata sentenza, affronta un delicato tema alla luce del diritto costituzionale e sovranazionale.

Congedo di paternità obbligatorio e “genitore equivalente”: contenzioso di merito

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.Lgs. n. 151 del 2001 è stata sollevata dalla Corte d’Appello di Brescia, adita dall’INPS, che era risultata soccombente nel giudizio di primo grado promosso dinanzi al Tribunale ordinario di Bergamo da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ e successivamente anche da CGIL.

Al centro del contenzioso, la mancata possibilità per le coppie di genitori dello stesso sesso iscritte nei registri dello stato civile, di accedere tramite procedura informatica al congedo di cui all’art. 27-bis del D.Lgs. n. 151/2001. L’INPS, infatti, aveva inizialmente strutturato il proprio portale web in modo da bloccare la domanda laddove i codici fiscali dei due genitori indicassero lo stesso genere. Il Tribunale ordinario di Bergamo aveva ordinato all’INPS di modificare il proprio sistema informatico di ricezione delle domande amministrative in modo da rendere possibile alle coppie che risultassero genitori dai registri dello stato civile di inserire i loro codici fiscali a prescindere dal genere, condannandola al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo.

Dubbi di legittimità costituzionale della Corte rimettente

La modifica del sistema informatico da parte dell’INPS durante il giudizio, pur risolvendo parzialmente il problema operativo, non ha tuttavia risolto i dubbi di legittimità dell’art. 27-bis, che nel riferirsi esclusivamente al “padre”, si pone in contrasto con la Costituzione e con la normativa eurounitaria.

La Corte d’appello di Brescia, sezione lavoro, ha pertanto sollevato, questione di legittimità costituzionale della disposizione menzionata “nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori dai registri dello stato civile”, in riferimento:

  • agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro;
  • all’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio. Tale direttiva (considerando n. 19), mira a favorire una più equa ripartizione delle responsabilità genitoriali tra uomini e donne, incentivando l’instaurarsi di un legame precoce tra il genitore e il figlio.

Nel contesto della normativa eurounitaria è previsto che, qualora l’ordinamento interno di uno Stato membro riconosca una figura assimilabile al “secondo genitore equivalente”, quest’ultima debba poter accedere al congedo di paternità obbligatorio di dieci giorni lavorativi, da fruire in occasione della nascita del figlio.

L’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE dispone, in particolare che gli Stati membri debbano adottare “le misure necessarie a garantire che il padre o, laddove e nella misura in cui il diritto nazionale lo riconosce, un secondo genitore equivalente abbia diritto a un congedo di paternità di dieci giorni lavorativi da fruire in occasione della nascita di un figlio del lavoratore”.

Tuttavia, il legislatore italiano ha riconosciuto, all’art. 27-bis del D.Lgs. n. 151/2001, il congedo di paternità obbligatorio esclusivamente in favore del “padre”, inteso in senso tradizionale, e dunque riferito a una coppia eterosessuale. Ciò nonostante – come rilevato dalla Corte d’appello di Brescia – nel nostro ordinamento esistono situazioni giuridicamente riconosciute in cui due donne risultano genitori nei registri dello stato civile, a seguito di:

  • trascrizione in Italia di atti di nascita formati all’estero a seguito di PMA;
  • sentenze definitive che attribuiscono la genitorialità;
  • adozioni in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983.

In tali casi, la madre non biologica – pur pienamente riconosciuta come “secondo genitore equivalente” – si trova nell’impossibilità di accedere al congedo obbligatorio previsto dall’art. 27-bis, poiché la norma fa esclusivo riferimento al “padre”, impedendo così una lettura estensiva conforme ai principi costituzionali e ai diritti dell’Unione europea.

Il giudice a quo ha evidenziato come nemmeno un’interpretazione conforme dell’art. 27-bis potrebbe sanare tale disparità, proprio per il tenore letterale inequivocabile della disposizione, che resta ancorata a una concezione binaria della genitorialità. Allo stesso modo, non è praticabile la disapplicazione della norma nazionale in favore dell’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE, in quanto quest’ultima prevede il diritto al congedo solo ove il secondo genitore equivalente sia già riconosciuto dall’ordinamento interno.

Pertanto – conclude la Corte rimettente – solo un intervento della Corte Costituzionale può  rimuovere tale situazione di diseguaglianza normativa, sanando la discriminazione indiretta esistente e assicurando effetti erga omnes che garantiscano parità di trattamento alle coppie omogenitoriali.

Evoluzione normativa del congedo di paternità

La Corte costituzionale ricorda che, con il D.Lgs. n. 105/2022, il legislatore ha dato attuazione alla direttiva 2019/1158/UE, volta a favorire una più equa distribuzione delle responsabilità familiari e a promuovere la conciliazione tra lavoro e vita privata per genitori e caregiver.

L’art. 2, comma 1, lett. c) del citato decreto legislativo ha inserito nel D.Lgs. n. 151/2001 l’art. 27-bis, che disciplina il “congedo di paternità obbligatorio” e riconosce al padre lavoratore, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi e, per tutto il periodo del congedo, un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione, nella finalità di realizzare una più equa ripartizione della responsabilità genitoriale e di instaurare un precoce legame tra padre e figlio.:

Giurisprudenza costituzionale e interesse preminente del minore

Come ha ricordato la stessa Corte nella sentenza n. 115/2025, la propria giurisprudenza ha distinto tra istituti per i quali i genitori possono essere trattati in modo differente (come il congedo obbligatorio di maternità, legato alla gravidanza), e altri in cui l’interesse del minore è assoluto e richiede la piena fungibilità tra i genitori. In questi ultimi casi – come il congedo parentale o i riposi giornalieri – la parità genitoriale è una condizione necessaria per assicurare la tutela integrale del minore (sentt. nn. 371/2003, 197/2002, 179/1993, 105/2018).

In tale logica, il diritto al congedo di paternità obbligatorio va visto non come una tutela del padre in quanto tale, ma come uno strumento funzionale alla cura e al legame con il figlio, da garantire a chi effettivamente riveste la posizione di genitore nel senso sostanziale e giuridico del termine.

Posizione delle coppie omogenitoriali e del genitore intenzionale

La Corte Costituzionale, richiamando il proprio consolidato orientamento, ha ribadito che la trascrizione nei registri dello stato civile di atti di nascita formati all’estero con l’indicazione di due madri è legittima e produce effetti giuridici, in quanto non contraria all’ordine pubblico internazionale (Cass., Sez. Un., n. 38162/2022).

Il genitore intenzionale – anche se privo di legame biologico – che abbia prestato consenso all’utilizzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita, assume pienamente il ruolo e la responsabilità di genitore, anche se tali tecniche non sono autorizzate nel nostro ordinamento

Tale responsabilità genitoriale, osserva la Corte, ha un valore centrale nel nostro ordinamento e costituisce la base per il riconoscimento dei relativi diritti e doveri (sentenza n. 68/2025) e l’identità di sesso non può giustificare un trattamento deteriore dei genitori, in assenza di elementi di contrarietà all’ordine pubblico.

La madre intenzionale, che figura nei registri di stato civile come genitore del bambino, non può essere esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 27-bis unicamente per una questione di genere.

L’orientamento sessuale non incide di per sé sulla idoneità all’assunzione di tale responsabilità (sentenza n. 33 del 2021). L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e quella intenzionale ‒ che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita praticate legittimamente all’estero.

Irragionevolezza della norma e violazione dell’art. 3 Cost.

Nel caso in esame, la norma impugnata risulta viziata da una disparità di trattamento manifesta, in quanto esclude una genitrice intenzionale – pur legalmente riconosciuta – da un beneficio che spetta al padre in una coppia eterosessuale. Tale esclusione non trova giustificazione né nella funzione dell’istituto, né nella posizione giuridica dei soggetti coinvolti, ed è perciò irragionevole e discriminatoria, in violazione dell’art. 3 Cost.

Come ribadisce la Corte, l’interesse del minore deve prevalere su ogni impostazione rigida e binaria dei ruoli genitoriali: «All’interno di una coppia entrambi i genitori sono chiamati a provvedere al benessere fisico, psicologico ed educativo del bambino», e ciò vale anche per le coppie omoaffettive femminili (sent. n. 115/2025, punto 8).

Qualificazione del genitore intenzionale come “figura paterna equivalente”

Nel delineare una soluzione costituzionalmente orientata, la Corte evidenzia che nelle coppie di donne è perfettamente possibile individuare una distinzione tra la madre biologica (colei che ha partorito) e madre intenzionale, la quale ha condiviso l’impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato, e vi partecipa attivamente, così come nelle coppie eterosessuali si distingue tra madre e padre. In questa prospettiva, la madre intenzionale può ben essere considerata funzionalmente equiparabile al “padre” di una coppia eterosessuale, rispetto alla quale il legislatore ha riconosciuto il congedo di cui all’art. 27-bis.

La Corte sottolinea inoltre che questa distinzione è applicabile anche nei casi di adozione non legittimante, in cui al rapporto giuridico con la madre biologica si affianca quello con la madre intenzionale, sulla base dell’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983.

Risposte alle obiezioni dell’INPS e dello Stato

L’INPS e l’Avvocatura dello Stato avevano eccepito l’inammissibilità per invasione del campo discrezionale del legislatore e per asimmetria delle situazioni considerate. Secondo tali argomentazioni, il congedo in questione era pensato per il "padre" in un contesto di riparto dei ruoli tradizionali, e una sua estensione automatica avrebbe creato confusione o addirittura una «discriminazione al contrario».

La Corte ha respinto queste argomentazioni, affermando che non è in discussione un trattamento di favore, ma la rimozione di un’irragionevole esclusione, che nega a una genitrice legittimata giuridicamente lo stesso diritto riconosciuto al padre. Non vi è alcun automatismo né eccesso, ma solo un’estensione coerente con la finalità di tutela del minore e con l’evoluzione del diritto vivente

Dichiarazione di illegittimità costituzionale

Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte ha infine dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.Lgs. n. 151/2001, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non riconosce il congedo obbligatorio di paternità anche a una lavoratrice che sia genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.

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