Comportamento doloso del dipendente e licenziamento

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Comportamento doloso del dipendente e licenziamento

Il comportamento doloso del dipendente rappresenta una delle cause principali di licenziamento disciplinare.

Definizione di comportamento doloso  

Il comportamento doloso si riferisce ad azioni intenzionali da parte del dipendente che violano i doveri contrattuali o le normative aziendali, causando danni all'azienda o a terzi.

Questi atti sono caratterizzati da una volontà deliberata di nuocere e possono includere furto, frode, falsificazione di documenti, divulgazione di informazioni riservate, o altri comportamenti che ledono gravemente l'integrità e la fiducia sul luogo di lavoro.

Anche condotte dolose extralavorative possono legittimare il licenziamento, nei casi in cui venga compromesso il rapporto di fiducia o l'azienda venga danneggiata.

Due di queste fattispecie sono state oggetto di altrettante decisioni della Corte di cassazione.

Tentato furto ai danni del committente del proprio datore di lavoro

Con ordinanza n. 14043 del 21 maggio 2024, la Sezione lavoro della Corte di cassazione si è occupata della vicenda di un lavoratore, licenziato senza preavviso a seguito del tentato furto operato ai danni della società committente del proprio datore di lavoro.

Il dipendente era stato arrestato in flagranza mentre si era introdotto in un'area recintata, di proprietà della società, dove si trovavano due cisterne di gasolio da cui aveva asportato 200 litri di gasolio.

Il licenziamento per giusta causa era stato confermato sia in primo che in secondo grado.

Il prestatore aveva comunque adito la Suprema Corte, davanti alla quale aveva lamentato, tra i motivi, la non proporzionalità della sanzione e una violazione ed errata applicazione del Contratto collettivo di riferimento.

Il ricorrente, in particolare, si doleva del fatto che la Corte d'appello avesse:

  • da un parte, ammesso che il furto non era incluso fra le ipotesi espressamente previste dalla contrattazione collettiva come giustificative del licenziamento;
  • dall’altra, ricondotto il caso all’art. 2119 c.c. (recesso per giusta causa).

La Corte di cassazione ha giudicato il motivo di doglianza inammissibile, per manifesto travisamento della motivazione contenuta nella sentenza impugnata.

I Giudici di secondo grado, infatti, avevano correttamente ricordato che le fattispecie previste dal contratto collettivo come meritevoli di licenziamento disciplinare sono soltanto esemplificative.

Come più volte ricordato dalla giurisprudenza:

“La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti - al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo - le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione”.

Andava escluso, così, che fosse contraddittorio l’avere, i giudici di appello, da un lato, escluso la riconducibilità del fatto ad una delle ipotesi espressamente previste dal contratto collettivo, dall’altro, proceduto ad un’autonoma valutazione della gravità del fatto ai fini dell’accertamento della sussistenza di una giusta causa.

Referti medici falsi per il riconoscimento dell'invalidità civile: licenziato

La sentenza della Corte di cassazione n. 13748 del 17 maggio 2024, invece, riguarda il licenziamento comminato a un lavoratore all’esito di un procedimento disciplinare fondato sui capi di imputazione formulati a suo carico nell’ambito di una indagine penale.

L'indagine vedeva coinvolto il dipendente per gli interventi finalizzati, con il compiacente concorso di alcuni professionisti, alla formazione di referti medici falsi, attestanti inesistenti patologie o patologie più gravi di quelle esistenti, al fine di ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile.

La Corte d'appello aveva ritenuto legittimo il recesso, considerata la gravità della condotta e la proporzionalità della sanzione irrogata.

Il dipendente, di diverso avviso, si era rivolto alla Suprema corte, davanti alla quale aveva censurato l’incongruità logica e giuridica del giudizio formulato dalla Corte territoriale.

Andava valutata, secondo la sua difesa, la minore afflittività delle mere sanzioni conservative che il datore aveva applicato, in altri casi, a fronte di condotte identiche.

La Sezione lavoro della Cassazione ha ritenuto inammissibili i rilievi del dipendente, in quanto tesi ad opporre la propria valutazione, in punto di fatto, circa la reale consistenza della condotta e della sua gravità rispetto all’accertamento fattuale cui era pervenuta la Corte territoriale.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale aveva correttamente dato conto dell’intervenuto accertamento, in sede penale, dell’effettività della condotta addebitata.

Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva infatti constatato “l’avvenuta acquisizione di concreti elementi di colpevolezza a carico del prevenuto per tutti i reati allo stesso contestati”.

Il lavoratore, del resto, non aveva negato l'addebito neppure in sede disciplinare.

Da qui la conferma della proporzionalità della sanzione espulsiva vista l’idoneità della condotta extralavorativa a ledere gli interessi morali e materiali dell’amministrazione datrice e a compromettere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.

Tabella di sintesi delle decisioni

Caso Questione Dibattuta Soluzione della Corte di Cassazione
Tentato furto ai danni del committente del proprio datore di lavoro Se il tentato furto ai danni della società committente del datore di lavoro giustifichi il licenziamento per giusta causa, nonostante il furto non fosse espressamente previsto dal contratto collettivo come motivo di licenziamento. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, affermando che le previsioni del contratto collettivo sono esemplificative e non vincolanti, permettendo una valutazione autonoma del giudice sulla gravità della condotta.
Referti medici falsi per il riconoscimento dell'invalidità civile Se il licenziamento per la falsificazione di referti medici per ottenere l'invalidità civile fosse proporzionato, considerando che il datore di lavoro aveva applicato sanzioni conservative in casi simili. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, sottolineando che la condotta era grave e proporzionata alla sanzione irrogata, dato che la falsificazione dei referti medici comprometteva gli interessi morali e materiali dell'azienda e il vincolo fiduciario.
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