Cndcec: nessuna incompatibilità per il commercialista che affitta l’azienda
Pubblicato il 03 settembre 2025
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Con la pubblicazione del Pronto ordini n. 80/2025 del 2 settembre 2025, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) torna ad affrontare il tema delle incompatibilità professionali.
In particolare, l’attenzione è stata posta sul caso di un iscritto all’Albo che, dopo aver avviato un’attività commerciale, ha concesso in affitto a terzi la propria azienda. L’interrogativo sollevato è se tale comportamento possa configurarsi come causa di incompatibilità con l’esercizio della professione di commercialista.
Caso sottoposto al Cndcec
Il quesito pervenuto il 27 giugno 2025 da un Ordine territoriale chiedeva se un commercialista che:
- avvia un’attività commerciale come imprenditore individuale (esercizio al dettaglio o somministrazione di alimenti e bevande),
- e, a distanza di pochi giorni, concede in affitto d’azienda l’unica attività detenuta,
debba considerarsi in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione.
Il dubbio nasce dal fatto che, pur avendo inizialmente assunto la veste di imprenditore, l’iscritto ha successivamente rinunciato alla gestione diretta, trasferendo la conduzione dell’impresa all’affittuario.
Quadro normativo di riferimento
Il punto di partenza per affrontare la questione è l’articolo 4 del D.lgs. 139/2005, che regola in maniera chiara le situazioni di incompatibilità per i commercialisti.
La norma stabilisce, innanzitutto, che l’esercizio della professione non può convivere con lo svolgimento di un’attività d’impresa, sia essa abituale o occasionale, prevalente o secondaria, svolta in nome proprio o per conto di altri (Comma 1, lett. a).
Allo stesso tempo, però, la legge introduce una deroga importante: l’incompatibilità non opera se l’attività che il professionista svolge per conto proprio ha come unico scopo la gestione del proprio patrimonio o attività di carattere conservativo e di mero godimento (Comma 2).
In altre parole, il legislatore ha voluto tutelare l’indipendenza e l’imparzialità del commercialista, evitando che l’assunzione del ruolo di imprenditore – caratterizzato da logiche di profitto e concorrenza – possa compromettere la neutralità e l’autonomia richieste nello svolgimento della funzione professionale.
Analisi del CNDCEC
Nel caso sottoposto all’attenzione del Consiglio, viene evidenziato che il professionista, pur avendo inizialmente assunto la veste di imprenditore commerciale, ha successivamente e in tempi rapidi stipulato un contratto di affitto d’azienda, trasferendo così a un terzo il pieno godimento del complesso aziendale. Con tale scelta egli ha rinunciato, di fatto, alla conduzione diretta dell’attività d’impresa.
Il CNDCEC ricorda che l’affitto d’azienda è un contratto di natura continuativa e con effetti obbligatori, che produce una conseguenza precisa: il locatore – in questo caso il commercialista – si spoglia dell’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre l’affittuario assume la gestione esclusiva dell’impresa, con autonomia decisionale e responsabilità economica.
Da questa impostazione discende che il professionista che si limiti a concedere in affitto la propria azienda, senza intervenire nella gestione e senza partecipare agli utili, non può più essere qualificato come imprenditore. A mancare, infatti, è il requisito essenziale dell’imprenditore delineato dall’art. 2082 del codice civile: l’effettivo esercizio di un’attività economica organizzata con finalità produttive o di scambio di beni e servizi.
La semplice titolarità giuridica dell’azienda, se priva di un coinvolgimento gestionale o decisionale, non è quindi sufficiente a determinare una causa di incompatibilità. Questo orientamento trova conferma anche nelle Note interpretative del CNDCEC, che escludono l’incompatibilità quando l’attività ha natura patrimoniale, immobiliare o mobiliare e sia finalizzata esclusivamente al godimento o alla conservazione del bene.
Il Consiglio conclude quindi che, nel caso in esame, non si configura alcuna incompatibilità, a condizione che:
- l’affitto d’azienda sia effettivamente reale e non meramente simulato;
- il professionista si astenga da ogni forma di ingerenza nella gestione o nelle scelte operative dell’impresa affidata a terzi.
In sintesi, la decisione poggia sull’idea che ciò che rileva non è la titolarità formale dell’azienda, ma l’effettivo esercizio dell’attività imprenditoriale: se questo viene meno, il commercialista conserva la propria indipendenza e neutralità professionale, senza incorrere in incompatibilità.
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