Cessione di quote familiari e debiti fiscali: è frode
Pubblicato il 01 settembre 2025
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La Corte di cassazione ribadisce che la cessione di quote a familiari in presenza di debiti tributari già accertati costituisce atto fraudolento. Così la sentenza n. 29943 pronunciata il 29 agosto 2025 che ha confermato anche la confisca per equivalente.
Vediamo come si è svolta la questione.
Atti fraudolenti per sottrarsi alla riscossione delle imposte
La Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione assunta in primo grado dal Tribunale. L’imputato era stato riconosciuto colpevole e condannato alla pena di otto mesi di reclusione, poiché ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Secondo i giudici, egli aveva posto in essere atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte: in particolare, aveva trasferito al figlio convivente la propria quota di partecipazione, pari al 29%, in una società di famiglia. Tale operazione era stata valutata come finalizzata a sottrarre beni alle pretese dell’erario e quindi a ostacolare l’attività di recupero da parte dell’amministrazione finanziaria.
Inoltre, la sentenza d’appello aveva disposto la confisca per equivalente sino alla concorrenza della somma di euro 41.963,29, ritenuta corrispondente al valore del profitto derivante dal reato. Tale misura riguardava sia il denaro che altri beni nella disponibilità dell’imputato, in modo da assicurare l’effettiva esecuzione della sanzione patrimoniale.
Motivi di ricorso
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre distinti motivi.
Con il primo motivo, ha lamentato un’erronea applicazione della legge penale, sostenendo che l’atto di trasferimento delle quote sociali al figlio non avesse natura fraudolenta. Secondo la sua prospettazione, la cessione di partecipazioni in una società di famiglia non avrebbe di per sé compromesso la possibilità di riscossione da parte dell’Erario e, dunque, non poteva integrare il reato di cui all’art. 11 del D.lgs. 74/2000.
Con il secondo motivo, l’imputato ha denunciato l’ingiusta esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
A suo avviso, i giudici di merito non avrebbero considerato adeguatamente la modesta offensività della condotta, trascurando che l’operazione contestata non aveva arrecato un danno significativo né comportato conseguenze concrete nella sfera patrimoniale dello Stato.
Infine, con il terzo motivo, ha contestato la quantificazione del profitto confiscabile. Egli ha rilevato che i giudici avevano commisurato la confisca al 29% del valore effettivo dell’immobile conferito nella società, per un ammontare pari a euro 41.963,29, senza rapportarsi al capitale nominale delle quote cedute. Secondo la difesa, ciò aveva portato a una stima eccessiva e sproporzionata della misura patrimoniale.
Natura fraudolenta della cessione delle quote
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29943 del 29 agosto 2025, ha esaminato anzitutto la censura con cui l’imputato contestava la natura fraudolenta della cessione di quote al figlio. Secondo la difesa, il trasferimento non avrebbe potuto essere qualificato come “atto fraudolento”, trattandosi di un normale passaggio di partecipazioni sociali.
I giudici di legittimità hanno respinto con decisione questa prospettazione, ribadendo un principio già consolidato nella giurisprudenza: anche operazioni formalmente lecite possono assumere rilevanza penale se poste in essere con la finalità di rendere inefficace l’azione di riscossione delle imposte. Non è necessario che vi siano condotte artificiose di per sé illecite; è sufficiente che vi sia un comportamento idoneo a svuotare la garanzia patrimoniale su cui l’amministrazione finanziaria può fare affidamento.
Nel motivare la propria decisione, la Corte di Cassazione ha fatto espresso riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 12213 del 2018, considerata un punto di svolta in materia di reati tributari.
In quella occasione, le Sezioni Unite avevano chiarito che l’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 non richiede necessariamente l’impiego di strumenti artificiosi o simulati, come accade per altre ipotesi di frode fiscale. Al contrario, è sufficiente che il contribuente ponga in essere un atto idoneo a ridurre o rendere inefficace la garanzia patrimoniale nei confronti del Fisco, qualora vi siano debiti tributari già accertati o imminenti.
La pronuncia aveva inoltre sottolineato come la norma persegua proprio l’obiettivo di reprimere quelle condotte elusive e apparentemente lecite, spesso attuate tramite trasferimenti a congiunti, costituzione di società di comodo o passaggi di beni. Questi comportamenti, pur non essendo illeciti in sé, assumono rilievo penale quando siano chiaramente finalizzati a impedire l’azione di riscossione delle imposte.
Applicando tale principio al caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la cessione al figlio convivente del 29% delle quote societarie rientrasse perfettamente nello schema delineato dalle Sezioni Unite: un atto che, pur avendo forma regolare e lecita, era strumentale a svuotare la garanzia patrimoniale e dunque a ostacolare l’Erario.
Di conseguenza, la Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione già compiuta dai giudici di merito: il trasferimento delle quote doveva essere considerato un atto fraudolento, e dunque penalmente rilevante.
Valutazione sulla particolare tenuità del fatto
La Corte di cassazione prende in esame la doglianza dell’imputato relativa all’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa aveva sostenuto che la condotta fosse di minima offensività e non tale da giustificare l’applicazione di una pena.
La Cassazione respinge questa prospettazione, osservando che l’operazione fraudolenta non può essere ritenuta tenue, sia per il contesto in cui è stata posta in essere, sia per l’importo delle somme dovute al Fisco.
Infatti, l’atto era stato compiuto dopo la notifica di cartelle esattoriali, in un momento in cui l’imputato era pienamente consapevole dell’esistenza e dell’entità del debito tributario. Inoltre, la rilevanza economica dell’operazione – riguardante beni immobili e una quota societaria di valore significativo – escludeva qualsiasi possibilità di qualificare il fatto come di scarsa offensività.
Sulla confisca per equivalente
In merito al tema della determinazione del profitto confiscabile, la Corte di cassazione osserva come la difesa dell’imputato aveva contestato la misura, sostenendo che la confisca fosse stata calcolata in modo eccessivo, rapportandola al valore reale dell’immobile conferito nella società e non al capitale nominale delle quote cedute.
I giudici di legittimità ribadiscono che la confisca deve essere commisurata al profitto effettivo del reato, e quindi al vantaggio economico concretamente conseguito dall’operazione fraudolenta.
Nel caso in esame, il 29% del valore dell’immobile conferito rappresentava correttamente la quota di ricchezza sottratta alla garanzia patrimoniale del Fisco. Di conseguenza, l’importo determinato era pienamente legittimo e proporzionato.
In conclusione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con conseguente conferma della condanna della Corte d’appello ritenendo che anche la cessione di quote sociali a familiari può costituire atto fraudolento se posta in essere per sottrarre beni al fisco.
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