Cessione d’azienda riqualificata: termine per emettere avviso di rettifica
Pubblicato il 14 luglio 2021
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Avviso di rettifica e liquidazione notificato dopo tre anni dall’ultimo atto integrativo dell’operazione, riqualificata come cessione d’azienda? Fisco decaduto dal potere di accertamento.
La Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione con cui i giudici di merito avevano dato ragione a due società contribuenti rispetto all’avviso di rettifica e liquidazione che le aveva raggiunte in relazione ad un’operazione che era stata riqualificata come cessione d’azienda.
Nella specie, una delle due aveva ceduto all’altra società la propria partecipazione pari al 100% del capitale sociale di altra Srl.
Riqualificazione di cessione di partecipazioni in cessione d’azienda
La Direzione provinciale competente aveva riqualificato la cessione della partecipazione totalitaria della prima società nel capitale della seconda come cessione d’azienda, richiedendo l’imposta di registro proporzionale sul valore dichiarato della cessione, per come riqualificata.
Successivamente, l’Ufficio aveva notificato alle due compagini un avviso, con il quale aveva rettificato il valore di cessione dichiarato in atti e liquidato la maggiore imposta dovuta sul maggior valore accertato.
L’avviso era stato impugnato dalle due società con due distinti ricorsi che erano stati accolti dalla CTP con sentenza poi confermata anche in secondo grado.
Avviso notificato dopo tre anni da ultimo atto? Decadenza dal potere di accertamento
La Commissione tributaria, in particolare, aveva ritenuto l’Ufficio decaduto dal potere di accertare il maggior valore dell’azienda ceduta, atteso che l’avviso di rettifica e liquidazione era stato notificato dopo il decorso di tre anni dalla registrazione dell’ultimo atto integrativo della fattispecie di cessione di azienda.
A tale statuizione ha aderito anche la Corte di cassazione che, con ordinanza n. 19865 del 13 luglio 2021, ha rigettato il motivo di impugnazione sollevato dall’Amministrazione finanziaria.
Secondo quest'ultima si sarebbe dovuto dare rilievo, nel caso in esame, all’imposta complementare sul maggior valore accertato sicché andava escluso il termine triennale di decadenza dalla registrazione dell’atto relativo all’imposta principale, trovando per contro applicazione il termine di cui al comma 1-bis dell’art. 76 del TU imposta registro.
Per l’Ufficio, ossia, il dies a quo del termine di decadenza del potere di accertamento coincideva con il momento in cui l’Amministrazione aveva riqualificato gli atti posti in essere in un unico contratto di cessione di azienda, chiedendo alle contribuenti il pagamento dell’imposta proporzionale, al posto di quella fissa precedentemente corrisposta.
Interpretazione, questa, ritenuta dagli Ermellini non solo sfornita di una base positiva ma anche erronea, posto che travisava la ratio della norma richiamata, trasformandola da disposizione a tutela del contribuente in norma di favore per il fisco.
Per contro – hanno concluso i giudici di Piazza Cavour – il caso in cui il contribuente assolva l’imposta in misura fissa su atti che, secondo la riqualificazione operata, concretizzerebbero un atto soggetto ad imposta proporzionale, rientra nell’ambito applicativo del comma 2 dell’art. 76 Tur.
Tale caso, infatti, deve essere equiparato a quello in cui, pur avendo richiesto la registrazione, il contribuente non abbia pagato l’imposta proporzionale.
Nelle predette ipotesi, l’amministrazione, nei tre anni a partire dalla registrazione dell’ultimo atto della serie negoziale posta in essere dal contribuente, è tenuta, a pena di decadenza, non solo riqualificare l’atto, ma anche rettificare la base imponibile dichiarata dal contribuente al fine di richiedere a lui l’imposta proporzionale considerata dovuta.
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