Cause previdenziali: soccombente non sempre sanzionabile per lite temeraria

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Cause previdenziali: soccombente non sempre sanzionabile per lite temeraria

Con sentenza n. 12455 del 19 aprile 2022, la Corte di cassazione ha fornito precisazioni sulle condizioni e sui limiti entro i quali, nelle cause in ambito previdenziale, la parte soccombente in giudizio è sanzionabile per lite temeraria e/o responsabilità aggravata.

Giudizi previdenziali, applicabili le regole sulla soccombenza?

Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, la parte soccombente è assoggetta alla disciplina sulla condanna alle spese di cui agli artt. 91 ss. c.p.c. se possiede redditi superiori al doppio dell'importo del reddito utile ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio. Questo ai sensi di quanto disposto dall'art. 152 att. c.p.c.

E' invece circoscritta alla previsione dell'art. 96 comma 1 c.p.c. la rilevanza della disciplina generale della soccombenza per le parti che posseggano redditi di importo pari o inferiore a tale soglia.

La parte abbiente, così, è soggetta alle regole generali della soccombenza, incluse tutte quelle desumibili dall'art. 96 c.p.c. mentre, per converso, si deve ritenere che la parte non abbiente resti sanzionabile, in ipotesi di soccombenza, solo in caso di responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 comma 1 c.p.c., ossia se "ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave" e sempre che vi sia "istanza dell'altra parte", specificamente volta, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni.

Parte soccombente non abbiente? Sanzioni solo per responsabilità aggravata e dietro istanza di parte

Per la Cassazione, ciò posto, va escluso che alla parte soccombente non abbiente sia applicabile la previsione di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c., la quale prevede che "in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata".

Difatti - ha spiegato la Corte - anche se la locuzione "in ogni caso" possa indurre, a prima vista, ad opinare il contrario, "militano per l'esclusione solide ragioni di carattere letterale e logico-sistematico".

In primo luogo, da un punto di vista squisitamente letterale, è agevole rilevare che la formulazione attuale dell'art. 152 fa salva l'applicazione, alle controversie in esame, del solo primo comma dell'art. 96 c.p.c.; inoltre, da un punto di vista logico-sistematico, la ratio della previsione del terzo comma dell'art. 96 c.p.c. non è affatto diversa rispetto a quella desumibile dal precedente primo comma.

Nel caso specificamente esaminato, la Sezione lavoro della Cassazione ha accolto il ricorso promosso dalla parte soccombente di una causa previdenziale contro la sentenza che l'aveva condannata, ai sensi dell'art. 96 comma 3, c.p.c. a rifondere all'INPS una somma equitativamente determinata.

Il Tribunale, in particolare, aveva ritenuto che, in ragione dello scarto esistente tra la percentuale invalidante riscontrata in sede di accertamento tecnico preventivo e quella occorrente per guadagnare la prestazione invocata, la domanda giudiziale della deducente dovesse reputarsi "meramente speculativa e dannosa per il buon funzionamento del sistema processuale". 

Tuttavia - ha osservato la Corte - non vi erano stati né alcuna domanda dell'INPS finalizzata alla condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 comma 1 c.p.c. né alcun accertamento dei requisiti necessari a configurare la lite temeraria.

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