Cassazione: legittimo il licenziamento basato su controlli investigativi
Pubblicato il 11 dicembre 2025
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La Cassazione è tornata a fornire indicazioni sulla distinzione tra controlli sull’adempimento della prestazione e controlli difensivi finalizzati a verificare condotte illecite: se svolti nel rispetto dei limiti normativi, i controlli investigativi rappresentano uno strumento legittimo per tutelare il patrimonio e l’immagine del datore di lavoro e possono costituire un valido supporto probatorio nei procedimenti disciplinari.
Licenziamento e controlli investigativi: ok dalla Cassazione
Con la sentenza n. 30821 del 24 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha analizzato un caso di licenziamento per giusta causa fondato su controlli investigativi svolti da un’agenzia incaricata dal datore di lavoro.
I fatti oggetto di contestazione disciplinare
Il datore di lavoro aveva addebitato al dipendente comportamenti non conformi alle direttive di servizio, rilevando difformità tra quanto dichiarato nei rapporti giornalieri e quanto osservato mediante verifiche esterne. In più occasioni, il dipendente era risultato fermo in auto durante l’orario di pattugliamento, in località diverse da quelle indicate nei documenti interni.
Per accertare la correttezza della condotta, il datore di lavoro aveva incaricato un’agenzia investigativa. Le attività si erano svolte esclusivamente in luoghi pubblici e avevano l’obiettivo di verificare eventuali comportamenti illeciti o potenzialmente pregiudizievoli per il patrimonio e l’immagine aziendale. Non rientravano, quindi, nella mera verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa.
Le decisioni dei giudici di merito
Il Tribunale aveva ritenuto legittimo il licenziamento, valorizzando la gravità delle condotte e la coerenza del materiale probatorio, che includeva anche le testimonianze degli investigatori incaricati.
La Corte d’Appello aveva confermato la decisione, chiarendo che i controlli investigativi non erano soggetti alle limitazioni dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto finalizzati all’accertamento di condotte illecite. Aveva inoltre giudicato irrilevante la deduzione tardiva relativa alle modalità di svolgimento dei controlli.
Il ricorso per Cassazione: i motivi di impugnazione
Il ricorrente aveva sostenuto che i controlli fossero diretti alla verifica dell’adempimento lavorativo e, pertanto, vietati ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Aveva inoltre contestato l’uso delle presunzioni semplici e la riferibilità dei fatti alla propria persona, ritenendo insufficienti gli elementi indiziari valorizzati dalla Corte d’Appello.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva attribuito rilievo a precedenti disciplinari non pertinenti rispetto alle condotte contestate.
Il lavoratore aveva infine sostenuto che il licenziamento fosse motivato da ragioni ritorsive. Tuttavia, non erano stati forniti elementi idonei a dimostrare l’esistenza di un motivo illecito determinante.
La decisione della Corte di Cassazione
Legittimità dei controlli investigativi
La Corte ha ribadito che il datore di lavoro può legittimamente ricorrere a investigatori privati quando il controllo è diretto ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore. Tale attività è ammessa se svolta in luoghi pubblici e se finalizzata a tutelare il patrimonio o l’immagine aziendale. In quanto controllo “difensivo”, essa non rientra nei limiti dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che disciplina i controlli a distanza sull’ordinario adempimento della prestazione.
Inammissibilità delle censure probatorie
La Corte ha confermato la correttezza dell’uso delle presunzioni semplici e l’adeguatezza della motivazione della Corte d’Appello, escludendo ogni possibilità di rivalutazione del merito in sede di legittimità.
Precedenti disciplinari come elementi integrativi
I precedenti disciplinari non sono stati considerati come nuovi addebiti, ma come elementi utili per valutare la gravità complessiva della condotta del lavoratore, senza alterare l’ambito della contestazione disciplinare.
Esclusione della natura ritorsiva
La Corte ha escluso che il licenziamento fosse fondato su un motivo illecito determinante, poiché il lavoratore non aveva fornito elementi concreti a sostegno della propria tesi. In mancanza di una prova specifica, il recesso è stato ritenuto legittimo.
Esito del giudizio
La Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite, confermando in via definitiva la legittimità del licenziamento per giusta causa.
La pronuncia offre indicazioni sulla corretta applicazione degli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, chiarendo in particolare la distinzione tra:
- controlli sull’adempimento della prestazione lavorativa, soggetti ai limiti dell’articolo 4;
- controlli difensivi diretti ad accertare condotte illecite, che sono invece ammessi quando effettuati in luoghi pubblici e finalizzati alla tutela del patrimonio e dell’immagine aziendale.
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