Cassazione: è discriminatorio applicare al disabile l'ordinario periodo di comporto

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Cassazione: è discriminatorio applicare al disabile l'ordinario periodo di comporto

L'applicazione, al lavoratore disabile, dell'ordinario periodo di comporto rappresenta una discriminazione indiretta.

Rispetto a un non disabile, infatti, il lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità, e quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza.

E' quanto riconosciuto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 9095 del 31 marzo 2023, a conferma della pronuncia di illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto che un'azienda aveva comminato ad un proprio dipendente, portatore di handicap ai sensi della Legge n. 104/1992.

Secondo la Corte territoriale, la datrice di lavoro aveva posto in essere, nei confronti del lavoratore, una discriminazione di natura indiretta, consistita, alla luce del grave quadro patologico del lavoratore, nell'avergli applicato l'articolo del CCNL di riferimento in materia di comporto, trascurando di distinguere, nell'adottare la decisione di recesso, assenze per malattia ed assenze per patologie correlate alla disabilità.

La società aveva avanzato ricorso in sede di legittimità, lamentando, tra i motivi di impugnazione, violazione e falsa applicazione di legge, con particolare riferimento all'art. 42 CCNL Federambiente, applicato al rapporto in esame.

Illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto

Ricorso, questo, giudicato infondato dagli Ermellini, secondo i quali era condivisibile ritenere che, nella specie, l'applicazione al lavoratore dell'ordinario periodo di comporto avesse configurato una discriminazione indiretta: il lavoratore disabile è infatti esposto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e di raggiungere i limiti massimi di cui alla normativa pertinente.

Ed è proprio tale rischio, secondo la normativa dell'Unione europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, a rendere idonea una normativa che fissa limiti massimi di malattia - identici per lavoratori disabili e non - in vista del recesso datoriale, a svantaggiare i lavoratori disabili e, quindi, a comportare una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità.

Per la Corte, in definitiva, la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, "trasmuta il criterio apparentemente neutro del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto, in quanto in posizione di particolare svantaggio".

Periodo di comporto e lavoratori disabili: ultime pronunce di merito

Il tema della possibile configurabilità di una discriminazione indiretta nei casi di licenziamento del dipendente disabile per superamento del periodo di comporto è al centro del dibattito giurisprudenziale, anche di merito.

In proposito, si segnalano due recenti pronunce di merito.

Con sentenza n. 1 del 9 gennaio 2023, in particolare, il Tribunale di Parma ha evidenziato la necessità di valutare se, in concreto, quando si verifichi una assenza per malattia, tenuto conto della natura della malattia in relazione alla natura della disabilità, il licenziamento per superamento del comporto comporti una discriminazione del lavoratore.

Sulla stessa linea anche il Tribunale di Lodi con sentenza n. 19 del 12 settembre 2022, secondo il quale, per accertare se in concreto la norma collettiva attui una discriminazione indiretta del lavoratore disabile in relazione al computo del comporto come disciplinato dalla contrattazione collettiva, occorre valutare se tale disciplina sia penalizzante in ragione della patologia che ha dato origine alla disabilità.

Gli esiti delle due vicende sono stati, tuttavia, diversi, atteso che nel primo caso è stata dichiarata la natura discriminatoria del licenziamento intimato ad una dipendente disabile.

Nel secondo caso, invece, è stato ritenuto che la disciplina del comporto in esame non fosse discriminante, tenuto conto della duplice finalità della norma volta a salvaguardare sia il diritto del disabile alla conservazione del posto sia il diritto del datore di lavoro di risolvere il contratto quando la malattia si protragga per un tempo così lungo da far venir meno l’interesse al rapporto di lavoro con il lavoratore

Per l'effetto, è stata respinta l'impugnativa del licenziamento promossa dalla dipendente.

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