Autoriciclaggio per l’imprenditore che sottrae compensi ai lavoratori e li reimpiega

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Autoriciclaggio per l’imprenditore che sottrae compensi ai lavoratori e li reimpiega

Estorsione e autoriciclaggio per il datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato, costringe i lavoratori, minacciandoli di licenziamento, di accettare compensi lavorativi più bassi di quelli concordati.

 Questo è il contenuto della sentenza n. 25979, del 7 giugno 2018, emanata dalla Corte di cassazione.

Autoriciclaggio perché i profitti illeciti venivano reimpiegati in azienda

Con la detta pronuncia è stato affermato che:

  • costituisce estorsione il comportamento del datore di lavoro che costringe i dipendenti ad accettare, sotto minaccia di  licenziamento, buste paga più basse e non adeguate alle prestazioni offerte, e a lavorare per un orario superiore a quanto contrattualmente previsto;
  • è presente anche il delitto di autoriciclaggio, in quanto è stato provato che l’imprenditore rastrellava liquidità attraverso il mancato versamento degli anticipi, solo formalmente pagati in contanti, delle quattordicesime, dei permessi non goduti, che venivano utilizzati per pagare provvigioni o altri benefit aziendali in nero a favore dei venditori della società.

Infatti, per quanto attiene all’autoriciclaggio, l’articolo 648ter.1 del Codice penale punisce le attività d’impiego, sostituzione e trasferimento di beni o altre utilità poste in essere dallo stesso autore del delitto presupposto che ostacolano la ricostruzione della matrice illegale.

Vale, quindi, a provare la sussistenza del reato la condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria ossia la volontà dell’autore di attuare un impiego finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro.

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