Assistenza legale al curatore fallimentare. Compenso a fine incarico
Pubblicato il 09 dicembre 2017
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Il diritto al compenso in favore dell’avvocato - che assiste, nella specie, un curatore fallimentare – sorge soltanto alla cessazione del rapporto d’opera professionale o, comunque, all’esaurimento dell’affare per cui è stato conferito l’incarico. E’ solo in tale momento, d’altronde, che palesandosi l’impegno profuso dal professionista e gli effetti concreti della sua attività, diviene possibile valutare appieno il pregio dell’opera da lui prestata, i risultati ed i vantaggi, anche non economici, dalla stessa procurati al cliente (il cui apprezzamento è espressamente indicato tra gli elementi da tenere in conto, ex artt. 3 e 4 Dm n. 140/2012, ai fini della liquidazione del compenso dovuto sia per l’attività stragiudiziale che giudiziale).
A chiarirlo la Corte di Cassazione, prima sezione civile, respingendo il ricorso di un legale, che si era visto negare, da parte del giudice delegato al fallimento di una S.a.s., la liquidazione del proprio compenso per l’attività difensiva svolta in favore del curatore fallimentare in un giudizio di cassazione. Il giudice aveva motivato la propria decisione – con tesi dunque confermata in Cassazione - sul fatto che la prestazione del reclamante non si fosse ancora conclusa, essendo il giudizio ancora pendente; per cui lo stesso aveva semmai diritto ad un rimborso spese e ad un acconto conforme agli usi, ma non certo alla liquidazione della parcella completa e dettagliata (così come era stata presentata) per tutta l’attività svolta.
Parcella, niente liquidazione anticipata
La Suprema Corte ha contestualmente chiarito che l’insorgenza del diritto al compenso per esclusivo effetto dell’esaurimento dell’affare, non esclude ovviamente la possibilità che le parti si accordino – sia all’atto del conferimento dell’incarico, sia nel corso del rapporto – per la corresponsione di anticipazioni, collegandone eventualmente l’ammontare all’attività prestata ed alle spese supportate. Fermo in ogni caso restando l’obbligo di pagamento del residuo e la sua liquidazione ad esito della prestazione.
Orbene l’ammissibilità di tali pattuizioni non comporta peraltro, in assenza delle stesse e di specifiche consuetudini – si legge infine nell’ordinanza n. 29471 del 7 dicembre 2017 – il diritto del professionista al riconoscimento di acconti sul compenso, la cui liquidazione anticipata rispetto alla cessazione del rapporto d’opera, non può ritenersi giustificata neppure nel caso di prestazioni professionali rese in favore di un fallimento (e, segnatamente, dall’art. 111 bis Legge fallimentare).
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