Abuso del processo. Ricorso inammissibile? Condanna anche d’ufficio
Pubblicato il 26 giugno 2019
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La Corte di cassazione è tornata a fornire precisazioni sulla questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per abuso del processo, prevista dall’articolo 96, terzo comma, del Codice di procedura civile.
Lo ha fatto nel testo dell’ordinanza n. 16898 del 25 giugno 2019, con cui ha dichiarato manifestamente inammissibile un ricorso e, riconosciuta la ricorrenza dei presupposti dell’abuso del processo di cui all'articolo citato, ha concluso per la condanna del ricorrente, d'ufficio, al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata.
La condanna di cui all'articolo 96, ultimo comma, c.p.c. costituisce uno strumento di deflazione del contenzioso, introdotto dalla Legge n. 69/2009, che si differenzia dalle ipotesi di responsabilità aggravata di cui ai primi due commi dell’articolo 96, in quanto può essere attivato anche d'ufficio, ossia prescindendo da un'esplicita richiesta di parte.
Funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria
Nella pronuncia richiamata, la Suprema corte ha proceduto con una disamina su quanto da ultimo enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla relativa questione, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell'abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei "danni punitivi" che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento.
Ha così ricordato il principio secondo cui "la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale”.
Dolo o colpa grave non richiesti, sufficiente l’abuso
La relativa applicazione - ha poi evidenziato - non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente, e ovvero nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.
Ricorso come ingiustificato sviamento del sistema Giustizia: sanzionato
I giudici di legittimità, a seguire, hanno rammentato come l'art. 96 ultimo comma sia stato inserito, nel nostro sistema, nell'elenco delle fattispecie aventi funzione di deterrenza.
A mero titolo esemplificativo, hanno ricordato come possa costituire un abuso del diritto all'impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione:
- basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata;
- completamente privo di autosufficienza;
- contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia;
- fondato sulla deduzione del vizio di cui all'art. 360 n° 5 c.p.c., ove sia applicabile, ratione temporis, l'art. 348-ter ultimo comma c.p.c. che ne esclude la invocabilità.
In queste ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, in quanto non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma “destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione”.
Ed è quanto rinvenuto nel caso in esame, dove le censure contenute nel ricorso - tutte inammissibili - sono state ritenute gravemente erronee e non più compatibili con il quadro ordinamentale vigente.
In questo contesto, la Suprema corte ha concluso per la condanna del ricorrente, d'ufficio, al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in 2.500 euro, importo pari, all'incirca, in termini di proporzionalità, alla metà dei compensi liquidati in relazione al valore della causa.
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