Tarsu: esenzione per edifici di culto a prescindere da intesa
Pubblicato il 24 maggio 2022
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Il beneficio fiscale dell'esenzione dalla Tarsu non può essere escluso solo in base alla circostanza che la confessione religiosa non abbia stipulato intese con lo Stato italiano laddove vi sia stata denuncia di destinazione a culto dei locali.
Lo a puntualizzato la Sezione tributaria civile della Corte di cassazione, con sentenza n. 16641 del 23 maggio 2022, pronunciata in accoglimento delle ragioni avanzate da un'associazione religiosa, oppostasi a cartella di pagamento relativa a Tarsu emessa a suo carico dal Comune.
Entrambe le Commissioni tributarie, di primo e secondo grado, avevano respinto l'impugnazione promossa dalla contribuente, la quale riteneva di dover beneficiare della esenzione prevista dal regolamento comunale di appartenenza, in materia di Tarsu, per gli edifici adibiti a culto religioso.
Secondo i giudici tributari, per contro, la predetta esenzione non le spettava, in quanto il credo a cui aderiva l'associazione non aveva ancora stipulato intese con lo Stato italiano, mancando, quindi, il riconoscimento del carattere di confessione religiosa.
L'associazione si era quindi rivolta alla Suprema corte, deducendo l'illegittimità di trattamenti discriminatori nei confronti delle religioni diverse da quella cattolica alla luce della Cedu e della Costituzione nonché il divieto di speciali limitazioni o speciali gravami fiscali per le confessioni religiose, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno stipulato un'intesa con lo Stato.
Tassa sui rifiuti: per l'esenzione conta l'effettiva destinazione dei locali a culto
La Cassazione ha ritenuto fondate le doglianze della ricorrente, evidenziando di non condividere l'interpretazione resa dai giudici di merito in ordine all'esenzione d'imposta prevista dal regolamento dell'ente comunale in esame.
Nella specie, l'esenzione dalla tassa sui rifiuti era stata negata interpretando la norma in esame nel senso che essa era applicabile solo alle comunità religiose che avessero stipulato un'intesa ai sensi dell'art. 8 della Costituzione, atteso che, diversamente, mancherebbe il riconoscimento del carattere di confessione religiosa.
Tale interpretazione - per la Corte - non risultava conforme alla lettera della norma né alla sua finalità: la confessione religiosa non ha necessità di un riconoscimento per qualificarsi tale, né di stipulare un'intesa con lo Stato.
Il Regolamento, inoltre, quale disposizione secondaria, va interpretato in armonia con la norma primaria, i suoi scopi e le sue finalità, nonché con la normativa sovranazionale e la Costituzione.
In definitiva, la decisione impugnata era da ritenere erronea, avendo escluso il beneficio fiscale solo in base al fatto che la confessione a cui aderiva l'associazione non aveva stipulato intese con l'Italia, omettendo di verificare, in termini specifici, se la ricorrente avesse debitamente denunciato e provato la destinazione dei locali a luogo di culto.
Per la Cassazione, infatti, i singoli Comuni possono sì prevedere nel regolamento comunale che gli edifici adibiti a culto religioso siano esenti da Tari e Tarsu purché la norma venga applicata in armonia con il principio comunitario "chi inquina paga" e con le disposizioni degli artt. 62 e 70 del D. Lgs. n. 507/1993: possono, pertanto, essere esentati da tali tasse soltanto gli edifici effettivamente destinati all'esercizio del culto e come tali specificamente indicati nella denuncia o nella successiva variazione, non essendo a tal fine sufficiente la mera classificazione catastale.
Le predette norme regolamentari - ha concluso la Suprema corte - devono essere interpretate in termini coerenti e armonici non solo con la norma primaria ma anche con la Carta costituzionale e non è, quindi, consentito escludere dal beneficio fiscale previsto per locali destinati a culto religioso quelle confessioni religiose che pur potendosi qualificare tali non hanno ancora stipulato intese ex art. 8 Cost.
Da qui, la cassazione, con rinvio, della sentenza di appello.
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