Sullo "scudo" è in gioco la fiducia tra Stato e cittadini

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Con la tutela della riservatezza torna agli onori delle cronache lo scudo fiscale (decreto legge n. 350/2001): nel dl 223/06 Bersani-Visco vi è l’obbligo, per gli intermediari finanziari, di comunicare i dati in loro possesso all’Archivio dei rapporti intrattenuti  con la clientela (vecchia Anagrafe tributaria), unitamente all’indicazione dei dati anagrafici e del codice fiscale dei titolari (articolo 7, comma 6, Dpr n. 605/1973 novellato). Le Entrate ne hanno dato un’interpretazione arbitraria, intendendo compresi nella comunicazione obbligatoria i dati sui soggetti che a suo tempo avevano aderito allo scudo fiscale. Ma il profilo della riservatezza resta giuridicamente essenziale all’intero provvedimento sul rimpatrio dei capitali detenuti all’estero. Vero che la circolare 18/E del 4 aprile scorso ha affermato che il regime di riservatezza che contraddistingue i rapporti dei conti coperti dallo scudo  “non rileva ai fini della comunicazione dell’articolo 7 del Dl 605/1973, ma può essere eventualmente opposto all’Amministrazione finanziaria all’atto della richiesta di informazioni specifiche circa i contenuti del rapporto”, tuttavia è lecito dubitare che l’Amministrazione, una volta in possesso di tali dati, si astenga dall’utilizzarli.

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