Società responsabile per corruzione anche senza un concreto vantaggio

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La Corte di cassazione, con sentenza n. 9097 del 25 febbraio 2013, si è pronunciata relativamente ad una vicenda in cui i vertici di una società raggiunta da accertamento fiscale avevano tentato di corrompere alcuni funzionari dell’agenzia delle Entrate al fine di raggiungere una conciliazione giudiziale che fosse favorevole alla contribuente.

La società era stata sanzionata dalla Corte d'appello di Milano con l’applicazione di una sanzione pecuniaria e di una misura interdittiva, in considerazione della violazione dell'articolo 25 del Decreto legislativo n. 231/2001.

Da qui il ricorso in Cassazione della contribuente, secondo la quale la responsabilità andava esclusa in quanto il reato non era andato a buon fine, non aveva portato, cioè, ad un vantaggio concreto per l'ente.

Secondo la Suprema corte, per contro, detta responsabilità andava comunque ravvisata a prescindere dal fatto dall’esistenza di un risultato positivo. Ciò che rilevava, in definitiva, era che la condotta criminale fosse stata commessa nell'interesse dell'ente. In tale contesto, tuttavia, la Corte di legittimità è anche intervenuta sulle sanzioni concretamente applicate alla società, statuendo che, da un lato, la pena pecuniaria andava ridotta in considerazione della particolare tenuità del danno, dall’altro, la misura interdittiva andava cancellata a causa delle limitata conseguenza dell'azione di corruzione.
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