Reato di omessa dichiarazione: presunzioni tributarie non utilizzabili

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Reato di omessa dichiarazione: presunzioni tributarie non utilizzabili

Annullata, con rinvio, la condanna impartita a un imprenditore per il reato di omessa dichiarazione.

L’imputato si era rivolto alla Suprema corte lamentando violazione della legge penale e vizio di motivazione per travisamento di una prova decisiva in quanto i giudici di merito avevano utilizzato, come fonte di prova del reato ipotizzato, un avviso di accertamento che, però, non era stato né allegato alla notizia di reato, né a lui notificato.

Non era possibile comprendere, ciò posto, come fosse stata operata la ricostruzione del volume d'affari della società amministrata dal ricorrente e dell'imposta evasa.

Lo stesso amministratore, inoltre, si doleva che la sua penale responsabilità era stata ritenuta provata in base a un accertamento induttivo operato dall'amministrazione finanziaria che, però, non era stato oggetto di alcun controllo in sede penale, a causa, appunto, della mancanza in atti dell'avviso di accertamento.

In tale contesto, quindi, la motivazione resa era da considerare solamente apparente.

Cassazione: non configurabile alcuna pregiudiziale tributaria

Con sentenza n. 42167 del 18 novembre 2021, la Corte di cassazione ha giudicato fondati tutti questi rilievi.

Ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione – ha ricordato, in primo luogo, il Collegio di legittimità - non può farsi ricorso alle presunzioni tributarie, in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa procedendo d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto.

Si applica, infatti, il principio ai sensi del quale spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l'ammontare dell'imposta evasa, da intendersi come l'intera imposta dovuta e non versata - peraltro anche suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca - in base a una verifica che può venire a sovrapporsi e anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.

Reati tributari: va privilegiato il dato fattuale reale

In sede penale – si legge ancora nella decisione - occorre sempre privilegiare il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento fiscale.

Difatti, è pur vero che nell'accertamento degli elementi costitutivi dei reati tributari, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dagli organi accertatori, nonché ricorrere all'accertamento induttivo dell'imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute.

Ma ciò è possibile a condizione che lo stesso proceda ad autonoma verifica di tali dati indiziari unitamente ad elementi di riscontro, eventualmente acquisiti anche "aliunde", che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, privilegiando il dato fattuale reale rispetto a quello di natura meramente formale che caratterizza l'ordinamento fiscale.

Verificato, così, che in atti non era presente l'avviso di accertamento di riferimento, la Terza sezione penale della Cassazione ha ritenuto che la penale responsabilità del ricorrente fosse stata illogicamente confermata in assenza di un’autonoma valutazione sulla sussistenza dell'imposta evasa, e del suo ammontare, per come del resto richiesta dalla norma incriminatrice.

Da qui l’annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata.

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