Reati fiscali Possibile sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria

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Reati fiscali Possibile sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria

Un contribuente che è stato condannato per un reato fiscale può ottenere la conversione della reclusione in una pena pecuniaria anche se versa in uno stato di insolvenza. Lo conferma la Corte di Cassazione, Sezione terza penale, con la sentenza n. 36636 depositata il 24 luglio 2017. Per la Suprema Corte, infatti, il giudice non può negare la conversione della sanzione detentiva in quella pecuniaria solo perchè il contribuente è in condizioni disagiate e potrebbe non pagare: la “sostituzione” è sempre possibile, senza vincoli derivanti dalla situazione economica individuale.

Il fatto

La rappresentante legale di una Srl, che era stata condannata nei primi due gradi di giudizio per non aver versato al Fisco le ritenute di acconto operate in busta paga ai propri dipendenti per un importo superiore al triplo della soglia di rilevanza penale all'epoca vigente, ricorre in Cassazione lamentando che il giudice aveva ritenuto la “oggettiva gravità del fatto” predominante rispetto alle ragioni dell'omissione (ossia la situazione di insolvenza in cui versava l'impresa che è poi fallita) e non aveva sostituito la pena detentiva in quella pecuniaria, ritenendo che la contribuente non fosse in grado di ottemperare alle obbligazioni patrimoniali conseguenti all’accoglimento della conversione.

Sostituzione pena sempre possibile a prescindere dalle condizioni economiche

E' l'articolo 53 della legge 689/81 che sancisce che il giudice nel pronunciare sentenza di condanna, nel determinare la durata della pena detentiva, può:

  • entro il limite di due anni, sostituirla con la semidetenzione;
  • entro il limite di un anno, sostituirla con la libertà controllata;
  • entro il limite di sei mesi, sostituirla con la pena pecuniaria.

Inoltre, sempre il giudice non può sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

Tuttavia, nonostante questo dettato legislativo, si è aperto nel corso degli anni un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di considerare la solvibilità dell’imputato ai fini della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.

La situazione è stata risolta dalle Sezioni Unite con la sentenza 24476/2010, in base alla quale la sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria è consentita anche per condanne inflitte a persone in condizioni economiche disagiate e la pena pecuniaria non è soggetta a particolari prescrizioni.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 36636 ha accolto il ricorso dell'imprenditrice, constatando che la Corte di Appello non si era adeguata a tale principio negando la conversione della reclusione in pena pecuniaria.

Per di più, il Dlgs n. 158/2015 ha elevato nel frattempo le soglie di punibilità, prevedendo per l'omesso versamento di ritenute certificate il nuovo limite di 150 mila euro. Così, in base al principio del favor rei, la condotta dell'imputata, oggi, supera di poco la nuova soglia di rilevanza penale, che in passato avevano spinto il giudice a ritenere la “oggettiva gravità del fatto” predominante rispetto alle ragioni dell'omissione.

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