Rapporto di lavoro subordinato e cariche societarie, quale compatibilità?
Pubblicato il 03 ottobre 2019
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Con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, il Coordinamento Legale dell’INPS ha illustrato l’orientamento formatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità riguardo la problematica della compatibilità tra la titolarità di cariche societarie e l’attivazione di un rapporto di lavoro subordinato con la medesima persona fisica, ai fini di una corretta instaurazione del rapporto contributivo.
Come si vedrà nell’articolo, l’INPS ha affermato che, in casi del genere, non si può prescindere da un accertamento caso per caso, volto a considerare la sussistenza di una serie di condizioni ritenute necessarie per la configurabilità della subordinazione.
La posizione della giurisprudenza: principi generali
Prima di approfondire il contenuto del messaggio INPS, visto che per dirimere la problematica in commento è stato determinante l’apporto della giurisprudenza, analizziamo alcune delle principali pronunce sul tema.
Segnatamente, a sostegno della compatibilità di una duplicazione di posizioni giuridiche in capo alla stessa persona fisica è stato argomentato (Cass. Sez. Un., n. 10680/1994 e Cass. n. 1793/1996) che “né il contratto di società, né l’esistenza del rapporto organico che lega l'amministratore alla società, valgono ad escludere la configurabilità di un rapporto obbligatorio tra amministratori e società, avente ad oggetto, da un lato la prestazione di lavoro e, dall’altro lato la corresponsione di un compenso sinallagmaticamente collegato alla prestazione stessa.”
Ciò perché, in particolare, il rapporto organico concerne soltanto i terzi, verso i quali gli atti giuridici compiuti dall’organo vengono direttamente imputati alla società “[…]; con la conseguenza che, sempre verso i terzi, assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata, non anche la persona fisica. Ma nulla esclude che nei rapporti interni sussistano rapporti obbligatori tra le due persone, anche di lavoro subordinato”.
Pertanto, “resta comunque escluso che alla riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato sia di ostacolo la mera qualità di rappresentante legale della società, come presidente di essa”.
Sempre sul punto, secondo la Suprema Corte (cfr. le sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013) “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente”.
La posizione della giurisprudenza: le singole figure societarie
Alla luce dell’orientamento sopra descritto, la giurisprudenza ha sentenziato che la carica di presidente non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale (ciò vale anche in caso di un eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi).
Diversamente accade, invece, per l’amministratore unico della società, che, come ricordato in molteplici pronunce, è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina.
In questo caso, dunque, i giudici risultano compatti nel sancire un principio di non compatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società e la carica di amministratore unico della medesima (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 24188/2006).
Ancora, per quanto concerne l’amministratore delegato, si fa presente che la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione a tale organo (che, come noto, può essere generale e, come tale, implicante la gestione globale della società ovvero parziale, qualora vengano delegati limitati atti gestori) sarà rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza della carica con quella di lavoratore dipendente.
Difatti, nelle ipotesi in cui l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione, la giurisprudenza ritiene che sia esclusa la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società per detto soggetto.
Diversamente, l’attribuzione da parte del consiglio di amministrazione del solo potere di rappresentanza ovvero di specifiche e limitate deleghe all’amministratore non è ostativo, in linea generale, all’instaurazione di genuini rapporti di lavoro subordinato.
La configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è, inoltre, da escludere con riferimento all’unico socio, giacché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude – nonostante l’esistenza della società come distinto soggetto giuridico – l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.
Parimenti, il socio che abbia assunto di fatto nell’ambito della società l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione, tanto da risultare “sovrano” della società stessa, non può assumere contemporaneamente anche la diversa figura di lavoratore subordinato (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, n. 21759/2004) essendo esclusa la possibilità di ricollegare ad una volontà “sociale” distinta la costituzione e gestione del rapporto di lavoro.
In linea generale, sempre con riguardo alla figura del socio di società di capitali che assommi in capo a sé anche l’incarico di amministratore, si ricorda che detta semplice circostanza – ancorché possa essere sintomatica della non sussistenza del vincolo di subordinazione – non è di per sé sufficiente a concludere per la non configurabilità del rapporto di lavoro subordinato, in quanto in tali fattispecie, secondo la Suprema Corte, sono da vagliare disgiuntamente, caso per caso, sia la condizione di possessore di parte del capitale sociale sia l’incarico gestorio.
NB! Con particolare riferimento al requisito del vincolo di subordinazione, quale elemento tipico qualificante del rapporto di lavoro ex art. 2094 c.c., la Corte ha sottolineato che chi intende farlo valere ha l’onere di provare in modo certo l’assoggettamento – nonostante le suddette cariche sociali – al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso, il quale, inevitabilmente, limita la libertà di azione e di scelta nell’esercizio della funzione e dell’attività lavorativa del dipendente. In effetti, anche di recente la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3 aprile 2019, n. 9273, confermativa di Cass. n. 29761/18, e n. 19596/16), nel ribadire il principio secondo il quale le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale, ha altresì individuato, in capo al soggetto che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, l’obbligo di fornire la prova del vincolo di subordinazione, cioè l’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società. |
La posizione dell'INPS
In passato l’Istituto si era già occupato della tematica in commento. In particolare, con la circolare n. 179 dell’8 agosto 1989, avente ad oggetto “Accertamenti e valutazione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato”, aveva già provveduto ad illustrare i criteri per la valutazione dei rapporti lavorativi instaurati con società di capitali da soggetti che al contempo vi ricoprono determinate cariche.
In dettaglio, se in un primo momento aveva escluso, in linea di massima, che per i “presidenti, gli amministratori unici ed i consiglieri delegati” potesse essere riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato valido con la medesima società, con un messaggio successivo, l’orientamento è mutato (messaggio n. 12441 dell’8 giugno 2011), visto che è stata ammessa la possibilità di instaurazione di un valido rapporto di lavoro subordinato tra la società cooperativa ed il presidente della medesima.
Ma vi è di più. Come abbiamo visto, già a partire dagli anni ‘90, la giurisprudenza della Suprema Corte si è uniformata al criterio generale in base al quale l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, in una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (fatte salve alcune eccezioni).
Alla luce di tale orientamento, pertanto, l’Istituto ha individuato i criteri cui attenersi per valutare la configurabilità di detto rapporto sulla base dei principi espressi dalla Corte di Cassazione con riferimento alla disciplina relativa all’amministratore di società di capitali, stante la portata di carattere generale della medesima e, quindi, l’effettiva mutuabilità nell’ambito delle società cooperative.
Nel messaggio ivi analizzato, emerge infatti che la valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali (il riferimento è alle sole tipologie di cariche ritenute in astratto ammissibili) con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:
• che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
• che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
• che il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società. In particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.
La valutazione del vincolo di subordinazione
Come specificato dall’INPS, qualora un soggetto ricopra una carica societaria, ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro dipendente, si terrà conto della sussistenza anche di altri elementi sintomatici della subordinazione individuati dalla giurisprudenza e riproposti dalla prassi amministrativa adottata dall’Istituto, quali:
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la periodicità e la predeterminazione della retribuzione;
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l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro;
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l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale;
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l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale;
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l’assenza di rischio in capo al lavoratore;
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la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari;
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la costituzione e gestione del rapporto di lavoro sono ricollegabili ad una volontà della società distinta dal soggetto titolare della carica (amministratore, etc.).
Ciò si comprende alla luce del fatto che nell’individuazione della natura del rapporto occorre attenersi al principio di effettività, secondo il quale il nomen iuris utilizzato e le modalità con le quali il rapporto di lavoro è stato formalizzato costituiscono solo uno degli elementi ai quali occorre fare riferimento nella valutazione complessiva della situazione contestuale e successiva alla stipulazione del contratto al fine di accertare l’oggetto effettivo della prestazione convenuta.
QUADRO NORMATIVO INPS - Messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 |
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