Quando la buona fede esime dalla responsabilità per illecito amministrativo?

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L’impresa Gamma comunica mediante mail al proprio consulente di fiducia il report dell’orario e delle presenze dei propri dipendenti, al fine della compilazione del LUL. La mail risulta registrata nella sezione mail archiviate. Il giorno seguente alla scadenza del periodo di registrazione dei dati, il personale ispettivo della DTL sottopone a verifica l’impresa Gamma e riscontra che il LUL non è stato compilato. L’Impresa Gamma si giustifica asserendo che i dati sono stati inviati al consulente ed esibisce la schermata video del computer nella quale risulta che la mail è stata inviata. Il consulente invece sostiene di non aver ricevuto le informazioni trasmesse mediante mail. Il personale ispettivo irroga comunque la sanzione per omessa compilazione del LUL. Gamma propone ricorso avverso il provvedimento sanzionatorio, adducendo come esimente la propria buona fede. È giustificabile la condotta di Gamma?



Premessa

Tra le motivazioni che possono essere esposte come causa di esclusione della responsabilità amministrativa figura la buona fede. Tale esimente in sostanza si traduce in un errore sul fatto, che integra l’illecito amministrativo e può assolvere alla finalità giustificativa se il destinatario della sanzione dimostri che l’errore non sia dipeso dalla propria negligenza.

La colpevolezza

L’errore sul fatto è una delle principali cause di esclusione della colpevolezza, tipicizzate dal legislatore, idonee ad escludere nel nostro ordinamento l’elemento soggettivo della colpa. La colpevolezza, benché non risulti espressamente esplicitata nell'ordinamento giuridico, costituisce un caposaldo dello Stato di diritto, perché delimita l’area dell’illecito e costituisce il presupposto per l’applicabilità della sanzione o, in materia penale, della pena. In chiave normativa la colpevolezza sintetizza il giudizio di rimproverabilità espresso nei confronti del soggetto agente per l’atteggiamento antidoveroso tenuto da costui rispetto a quanto stabilito nel precetto normativo. Pertanto la colpevolezza esprime la contraddittorietà che ricorre tra la volontà dell’individuo nel caso concreto e la volontà della norma. Ebbene tale atteggiamento contradditorio può essere causato da una errata percezione della realtà da parte del soggetto agente. In tal caso rileva l’errore sul fatto come elemento di esclusione della colpevolezza e quindi della responsabilità.

Criteri di imputazione della responsabilità nel diritto penale: cenni

In materia penale l’errore sul fatto trova la propria fonte nell’art. 47 del c.p. che al comma I dispone: “L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. La norma ovviamente è calibrata per le fattispecie di reato e la disciplina nel suo complesso corre sulla distinzione tra reati dolosi e reati colposi. Sinteticamente il dolo, ai sensi dell’art. 42 c.p., costituisce criterio normale di imputazione soggettiva per i delitti, mentre la colpa è una tecnica di imputazione applicabile solo quando il fatto di reato è punito a titolo di colpa. Su tali premesse l’errore di fatto esclude la punibilità di un reato a titolo di dolo per difetto dell’elemento psichico costitutivo della fattispecie criminosa. Una volta esclusa la punibilità a titolo di dolo, occorre, pertanto, valutare se il fatto commesso sia punito a titolo di colpa ed eventualmente accertare la violazione delle regole di condotta e di disciplina.

Criteri di imputazione della responsabilità nell’illecito amministrativo

Per l’illecito amministrativo, così come per le contravvenzioni, la differenziazione in ordine al criterio di imputazione soggettivo dell’illecito sfuma, anzi, si potrebbe dire che è irrilevante, perché, ai fini della colpevolezza, risulta sufficiente riscontrare la semplice colpa. In altri termini in tema di sanzioni amministrative è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e la volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa. Sul punto vale infatti richiamare la recente giurisprudenza delle SS.UU. che negli illeciti di mera trasgressione, come sono per l’appunto quelli di natura amministrativa, considera “[…] impossibile individuare, sul piano funzionale, un’intenzione o una negligenza nell’azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell’atteggiamento interiore: l’azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la c.d. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa”.

L’errore sul fatto

Superate le differenze in ordine ai criteri di imputazione soggettiva dell’illecito penale, i principi inerenti all’errore sul fatto di cui all’art. 47 c.p. possono essere mutuati per l’illecito amministrativo, rispetto al quale l’errore scusabile viene tradizionalmente identificato con la locuzione “buona fede” e trova la propria disciplina nell’art. 3 della L. n. 689 cit., a tenore del quale, nelle violazioni alle quali è applicabile una sanzione amministrativa, ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa.

In generale l’errore può integrare una causa esimente della responsabilità ed è prodotto da una falsa rappresentazione della realtà di fatto, che si traduce in una divergenza tra la realtà fattuale esistente e quella in verità percepita dal soggetto agente. Quest’ultimo in sostanza è mosso da un erroneo o falso convincimento, perché percepisce la realtà in maniera difettosa o distorta e che altera il suo processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta strutturalmente viziata alla base.

Al contrario, se la realtà è stata esattamente percepita nella sua concreta dimensione fenomenica, non ricorre errore sul fatto, bensì errore sulla interpretazione della realtà percepita, ininfluente ai fini dell’applicazione della dell’istituto de quo.

L’errore poi deve essere tenuto distinto dallo stato di dubbio, poiché quest’ultimo è contrassegnato dalla compresenza di un’esatta e di una sbagliata rappresentazione della realtà. In tale ipotesi non v’è quella convinzione distorta che caratterizza l’errore.

Se tuttavia v’è stata alterazione del processo volitivo per falsa rappresentazione della realtà, occorre sul piano dell’elemento soggettivo distinguere tra:

  1. errore non scusabile: in tale caso la falsa rappresentazione viene determinata da negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) oppure nell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline (colpa specifica).

  2. errore scusabile, che si realizza quando nessun rimprovero, nemmeno di semplice leggerezza, può essere mosso al soggetto caduto in errore.

Ovviamente ciò che rileva ai fini della buona fede esimente è l’errore scusabile, il quale comporta che l’autore dell’infrazione abbia fatto tutto quanto possibile per osservare la legge e che pertanto nessun rimprovero di negligenza possa essergli mosso. La mancanza di negligenza postula una valutazione concreta e cioè parametrata sulle specifiche condizioni soggettive dell’agente, quindi sul livello di socializzazione, sul grado di cultura e sulle particolari conoscenze personali. Al ricorrere di tali condizioni la falsa rappresentazione della realtà può considerarsi scusabile e quindi non punibile.

L’orientamento della giurisprudenza

La giurisprudenza prevalente assume tuttavia una posizione più pragmatica, poiché richiede che l’autore dell’infrazione abbia anche la piena convinzione della liceità della condotta e cioè che quest’ultima risulti conforme al precetto normativo. Al riguardo si sostiene che rientra tra i doveri del soggetto quello di acquisire conoscenza della norma sia in via diretta sia attraverso la mediazione di esperti, dal momento che l’ignoranza e l’errore di chi deliberatamente o per trascuratezza non adempie al dovere di informazione non possono essere scusabili. Il dovere di informazione per il comune cittadino andrebbe poi parametrato sul livello di diligenza ordinaria mentre al professionista sarebbe richiesto un livello di diligenza superiore (c.d. criterio dell’homo eiusdem condicionis et professionis e cioè della persona scrupolosa che opera secondo i criteri della prevedibilità e dell’evitabilità dell'evento).

Tuttavia a giudizio degli scriventi tale orientamento sconta una certa equivocità perché la categoria dell’errore sul fatto viene accomunata all’istituto dell’errore di diritto, e cioè sul precetto normativo, quando invece le due ipotesi richiederebbero un’analisi distinta. La distinzione tra i due tipi di errore risiede nel come si qualifica la falsa rappresentazione ideale. In altre parole, se colui che erra vuole un fatto diverso da quello che costituisce l’illecito si ha errore sul fatto; diversamente se l’errore consiste nella convinzione che la condotta tenuta non sia contra ius si ha errore di diritto. Da tali premesse si dovrebbe semmai arguire che la diligenza richiesta al soggetto possa costituire il minimo comune denominatore su cui approntare rispettivamente la conoscenza della norma e la rappresentazione della situazione di fatto.

Il caso concreto

L’impresa Gamma ha comunicato mediante mail al proprio consulente di fiducia il report dell’orario e delle presenze dei propri dipendenti, al fine della compilazione del LUL. La mail risulta registrata nella sezione mail archiviate. Il giorno seguente alla scadenza del periodo di registrazione dei dati, il personale ispettivo della DTL ha sottoposto a verifica l’impresa Gamma e ha riscontrato che il LUL non è stato compilato. L’Impresa Gamma si è giustificata asserendo che i dati sono stati inviati al consulente ed esibisce la schermata video del computer nella quale risulta che la mail è stata correttamente inviata. Nonostante ciò, il consulente ha sostenuto di non aver ricevuto le informazioni trasmesse mediante mail e il personale ispettivo su tale presupposto ha irrogato comunque la sanzione per omessa compilazione del LUL. Il punto saliente è se la condotta di Gamma possa o meno essere considerata irreprensibile e quindi se la buona fede possa essere invocata come esimente della responsabilità. Nel caso di specie Gamma si è limitata ad affermare di aver inviato la mail e che tale invio è stato registrato nella sezione archivio. Tuttavia, tale asserzione non vale a configurare una falsa rappresentazione della realtà non evitabile con l’impiego della dovuta diligenza, perché il processo distorsivo della realtà v’è pure stato (la piattaforma informatica ha comunicato l’invio della mail), ma Gamma in concreto ha difettato di diligenza, poiché non si è sincerata se la mail fosse effettivamente giunta a destinazione e, soprattutto, se il consulente l’avesse letta o meno. Ad colorandum, vale rilevare che la email è un documento dotato di firma elettronica semplice che, diversamente dalla PEC, non è assistita da un’efficacia privilegiata, perché non consente di identificare in maniera univoca il mittente, né di provare la ricezione del messaggio da parte del destinatario. In ragione di ciò può concludersi nel senso della non invocabilità nel caso di specie della buona fede di Gamma e conseguentemente della legittimità della sanzione amministrativa irrogata dalla DTL.


NOTE

i Il ruolo centrale della colpevolezza si rinviene nell’art. 27 della Costituzione secondo il quale “La responsabilità penale è personale”. Come ha stabilito la Corte Costituzionale con sentenza n. 364 del 1988, tale principio postula oltre il divieto di responsabilità per fatto altrui, anche il carattere necessariamente personale della responsabilità.

ii Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 30-09-2009, n. 20933.

iii Cfr. Cass. pen. Sez. VI, 25/06/2010, n. 32329; App. Torino Sez. II, 13/11/2012.

iv Cioè provvedimenti amministrativi.

v Vale a dire atti emanati da privati che esercitano attività rischiose.

vi Cons. Stato Sez. VI, 21/06/2011, n. 3719; Cass. civ. Sez. II, 06/04/2011, n. 7885; sembra più aderente al concetto di errore sul fatto T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 11/02/2011, n. 456 la quale tuttavia richiama la copiosa giurisprudenza formatasi sul tema e il cui orientamento è stato espresso nel corpo del presente scritto.

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