Pagamento tracciato, lavoro nero e accertamenti ispettivi
Pubblicato il 22 novembre 2018
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Le istruzioni operative dell’INL
L’Ispettorato del Lavoro ha fornito istruzioni al proprio personale ispettivo circa la portata applicativa della disposizione con tre note:
- nota prot. n. 4538 del 22/05/2018;
- nota prot. n. 5828 del 04/07/2018;
- nota prot. n. 7369 del 10/09/2018;
- nota prot. n. 9294 del 09/11/2018.
Con il presente contributo si riassumono sinteticamente le complessive indicazioni operative dell’organo di vigilanza.
La nota prot. n. 4538 del 22/05/2018
A ridosso dell’entrata a regime dell’art. 1 comma 910 della L. n. 205 cit., l’Ispettorato ha emanato la nota prot. 4538 del 2018 con cui ha osservato che le modalità di pagamento ammesse dalla nuova normativa, atte a garantire la tracciabilità dei pagamenti, si suddividono in quattro misure:
- bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’art. 1 comma 910 lett. d) ritiene comprovato tale impedimento allorché “il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni”.
Secondo l’INL la violazione della previsione di legge risulti integrata mediante:
- la corresponsione di somme eseguita con modalità diverse da quelle testé descritte;
- il pagamento eseguito in applicazione dei sistemi descritti ma con modalità sostanzialmente elusive perché volte a evitare di fatto la corresponsione della retribuzione al lavoratore (es. bonifico bancario effettuato ma successivamente revocato).
In ordine a quest’ultimo aspetto va evidenziato che può integrare il reato di estorsione ex art. 629 c.p., la condotta del datore di lavoro che, dopo aver utilizzato i sistemi di pagamento tracciati sopra descritti, si faccia restituire dal lavoratore, mediante denaro contante, tutta o parte dalla somma corrisposta. Invero la giurisprudenza di merito ha ritenuto “sussumibile nel delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, sotto la costante minaccia di licenziamento, costringe i dipendenti a retrocedere parte del proprio compenso o a percepire uno stipendio minore di quello dovuto per legge” (cfr. Tribunale Taranto, 23/01/2014).
D’altronde, la retrocessione di tutto o parte della retribuzione, in quanto eseguita dal dipendente in uno stato di intimidazione dettato dalla necessità di conservazione del posto di lavoro, costituisce una condizione di lavoro che postula l’applicazione un trattamento retributivo non adeguato al lavoro svolto e quindi di per sé idonea ad essere sussunta nella fattispecie di cui all’art. 629 c.p. (in tal senso anche Cass. pen. Sez. II Sent., 20/12/2011, n. 4290).
Secondo l’Ispettorato è compito del personale di vigilanza verificare tanto l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, quanto l’avvenuto incasso della retribuzione da parte del lavoratore, sicché il mancato riscontro positivo di una sola delle suddette ipotesi legittima l’applicazione della sanzione prevista dalla norma.
In ordine all’effettivo incasso della retribuzione l’art. 1 comma 912 stabilisce espressamente che “la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione”. La verifica ispettiva, pertanto, si deve concentrare sul reale incasso delle somme da parte del dipendente. In tale modo viene superata la divaricazione giurisprudenziale circa il riparto dell’onere probatorio tra lavoratore e datore volto a stabilire se, al cospetto di prospetti paga recanti la firma del dipendente, la retribuzione sia effettivamente entrata nella disponibilità di quest’ultimo.
Segnatamente, mentre un orientamento minoritario della giurisprudenza di merito ritiene che tale onere dovrebbe essere ascritto al lavoratore (cfr. Tribunale Patti Sez. lavoro Sent., 17/01/2018 Trib. Ariano Irpino Sent., 09/06/2008 Tribunale Ivrea Sez. lavoro, 08/11/2007), altro orientamento, avallato anche dalla S.C., si è espresso nel senso opposto e quindi di addossare tale incombenza al datore (cfr. Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 20/04/2017, n. 10041 Tribunale Sulmona Sez. lavoro Sent., 26/02/2018 Tribunale Milano Sez. lavoro, 12/05/2017 Tribunale Milano Sez. lavoro, 01/03/2017 Tribunale Bari Sez. lavoro, 13/11/2013).
La nota in commento chiarisce altresì che l’irrogazione della sanzione non è mediata dalla procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 e che i verbali adottati dagli agenti e ufficiali di polizia Giudiziaria, differenti dal personale ispettivo (es. Guardia di Finanza, Carabinieri o Polizia) possono essere contestati dal trasgressore e dall’obbligato solidale con la produzione di scritti difensivi ex art. 18 della L. n. 689/81 all’ITL competente, ovvero mediante ricorso al Direttore dell’Ispettorato Territoriale, giusta in tale senso la previsione di cui all’art. 16 del D.lgs. n. 124/04.
La nota prot. n. 5828 del 04/07/2018
Subito dopo l’entrata a regime dell’art. 1 comma 910 della L. n. 205 cit., l’Ispettorato è nuovamente intervenuto in materia con nota del 04/07/2018, la quale ha chiarito che, in primo luogo, la sanzione amministrativa deve essere parametrata in relazione alla singola violazione commessa, a prescindere in altre parole dal numero dei lavoratori coinvolti. In secondo luogo il momento consumativo dell’illecito coincide con il termine assegnato contrattualmente al datore per l’adempimento della retribuzione mensile. Ciò significa che ove il datore violasse il precetto per più mensilità il personale ispettivo dovrà irrogare al trasgressore tante sanzioni quante sono le mensilità per le quali è stata accertata la violazione. Si ritiene che nel caso di specie non sia applicabile il beneficio della continuazione di cui all’art. 8 della L. n. 689/81, considerato che l’illecito in questione non è catalogabile nella materia previdenziale.
Con la predetta nota l’Ispettorato ha chiarito il significato dell’espressione “strumenti di pagamento elettronico”, ricomprendendo in questi ultimi il versamento degli importi effettuato su carta di credito prepagata e intestata al lavoratore, anche laddove tale carta non fosse collegata ad un IBAN. Qualora il datore di lavoro dovesse optare per tale forma di pagamento è tenuto a conservare le ricevute di versamento anche ai fini della loro esibizione agli organi di vigilanza.
In ordine alle “altre modalità di pagamento” l’organo di vigilanza ritiene conforme alla disposizione della norma anche l’utilizzo, da parte delle cooperative, del “libretto del prestito”. In tale caso la legittimità del versamento è condizionata dalla ricorrenza di una duplice condizione:
- richiesta per iscritto dal socio lavoratore di ricevere la retribuzione mediante tale modalità. Si ritiene che tale richiesta debba essere munita di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c.;
- documentazione del versamento nella “lista pagamenti sul libretto” con attestazione dell’Ufficio prestito sociale circa l’effettivo accreditamento della somma il giorno successivo alla sua effettuazione.
La nota prot. n. 7369 del 10/09/2018
Con l’intervento del 10/09/2018, l’Ispettorato fornisce dettagliati chiarimenti sulle tipologie di pagamenti ammissibili e sulle modalità che il personale ispettivo deve seguire per effettuare gli accertamenti presso gli istituti bancari.
Al di là della tecnica di indagine scelta dal personale di vigilanza, la nota precisa che lo strumento tracciato di pagamento deve investire ciascun elemento della retribuzione, ivi comprese le indennità di trasferta, con esclusione tuttavia dei rimborsi spese. Si rammenta che, per queste ultime, il datore di lavoro deve comunque conservare documentazione idonea a comprovare l’effettiva natura delle somme erogate a titolo di rimborsi spese.
Rilevante apertura è quella che consente il pagamento delle retribuzioni in contanti al lavoratore, purché tale tecnica venga effettuata presso lo sportello bancario ove il datore di lavoro risulti intestatario di un conto corrente o di un conto di pagamento ordinario soggetto alle dovute registrazioni.
Anche lo strumento del “vaglia postale” viene ritenuto ammissibile, sempre che il datore indichi il nome o la ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.
Nessuna delle sopra citate note chiarisce se la sanzione amministrativa debba essere applicata anche nell’eventualità in cui il datore di lavoro ometta di corrispondere in tutto o in parte la retribuzione.
L’interrogativo si pone in quanto l’art. 1 comma 913 della L. n. 205 cit., ai fini dell’applicazione del trattamento sanzionatorio, si limita a richiamare la semplice violazione dell’obbligo di cui al comma 910 cit. Per dissipare il dubbio soccorre la formulazione letterale di quest’ultima disposizione che correla il verbo “corrispondono”, ascritto ai datori e ai committenti, con l’avverbio “attraverso”, riferito invece ai sistemi di pagamento. Di tal che si può dedurre che la violazione dell’obbligo normativo sussiste solo laddove l’adempimento si sia realizzato per mancato utilizzo della strumentazione atta a garantire la tracciabilità. Resta comunque ferma l’adozione della diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124/04 nel caso di mancata corresponsione al lavoratore o al collaboratore, rispettivamente, della retribuzione o del compenso (cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004).
La nota prot. n. 9294 del 09/11/2018
L'ultimo intervento in materia riguarda l’ipotesi in cui gli organi ispettivi abbiano accertato l’impiego di lavoratori “in nero” e riscontrato altresì che la remunerazione dei medesimi lavoratori sia avvenuta in contanti e non mediante gli strumenti di pagamento tracciati.
L’Ispettorato, sul presupposto della diversità degli interessi giuridici tutelati dalle rispettive disposizioni normative, ritiene possibile l’irrogazione tanto della sanzione per lavoro nero quanto quella prevista dall’art. 1 comma 910 della L. n. 205 cit..
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